domenica 18 settembre 2011

La THEATRE ADDICTED si trasferisce nella STANZA DI OFELIA

Questo blog è nato il 24 ottobre 2010 dal bisogno di condividere le mie impressioni sugli spettacoli teatrali che hanno riempito e scandito questi nove mesi.
Gradualmente ho affinato il mio stile e ho approfondito il mio senso critico: le impressioni iniziali si sono trasformate in recensioni. E', quindi, arrivato il momento di cambiare anche veste grafica e di approfondire i contenuti.
Theatre addicted lascia il posto a LA STANZA DI OFELIA : lo spirito che scorre nel blog è immutato e immutabile - una passione senza limiti e senza sconti per questa forma d'arte in cui cerco e trovo me stessa e il mio presente.

Ringrazio tutti coloro che mi hanno dato i consigli preziosi che hanno fatto maturare la sottoscritta - e, di riflesso, anche il blog. Soprattutto ringrazio tutti coloro che hanno creduto e sostenuto questo progetto nato per gioco, e che del gioco ha sempre mantenuto la sincerità e l'onestà.

Mi auguro di ritrovare tutti nelle stanze di Ofelia, e mi auguro di ritrovare nei cassetti, negli armadi, negli angoli i vostri commenti, le vostre opinioni, i vostri pensieri. O semplicemente la vostra presenza, anche silenziosa.

Arrivederci....venite a trovare Ofelia nelle sue stanze!!!

sabato 16 luglio 2011

L'insostenibile pesantezza della vita: Sarah Kane e Amleto

Un viaggio nella materia densa e torbida di una mente ormai martoriata: dalla malattia - la depressione, dalla sofferenza che l'ha vinta spingendola al suicidio, giovanissima ma già arrivata sul fondo della sopportazione della difficoltà di vivere, di trovare il proprio posto nella società, di stringere relazioni umane.
"Psicosi delle 4 e 48" descrive il delirio estremo di Sarah Kane, scandalosa e acuta scrittrice inglese: 4 e 48, l'ora in cui l'angoscia arriva a farle visita, segna il momento della fine.
I frammenti di questa mente sono messi in scena da Maurizio Lupinelli con scelta registica di fortissima efficacia: lo spettacolo nasce in una sala di dimensioni ridottissime del Castello Pasquini, trasformata in una scatola nera per accentuare il senso di claustrofobia che scaturisce dal testo. La luce e' quella delle 4 e 48 del mattino: un buio, più che una luce, da cui affiora una materia umana, quella di Elisa Pol, tesa, trattenuta, costruita con cesellatura minuziosa su ogni singola parola - nella ricerca della zona d'ombra da cui scaturiscono i pensieri.
Questo di Sarah Kane e' un testo molto frequentato ultimamente, nell'alveo, pero', di una recitazione naturalistica. Se ne distacca in maniera netta Lupinelli, che costringe l'interprete a uno sforzo costante di astrazione dei toni e dei gesti. Il risultato e' intrigante per la profondità' in cui scende la comprensione e la forza dei pensieri dell'autrice.
Dal buio radente dell'unico proiettore proviene una voce gutturale, tenuta con grande rigore per tutta la prima parte del testo, quella più concettuosa e scandita in assenza di nessi logici. Piano piano emergono i contrasti e le lacerazioni di un essere umano che non ha trovato in se stessa le risposte necessarie per comprendere le leggi dei rapporti umani. Una mente fragile, abbandonata a se stessa, infine debole.
"Non voglio morire", dice disperata, ma poi aggiunge subito che "questo e' un mondo in cui non mi va di vivere". Riecheggiano le parole di un altro testamento tragico, quello di Sebastian Bosse - giovanissimo autore della strage del 2006 in una scuola tedesca e protagonista del testo di Lars Noren "20 novembre": "Se questo e' il futuro non mi interessa". La resa di Sebastian e' più rassegnata e lucidamente folle. Quella di Sarah Kane e' una sconfitta ("Sono un fallimento come persona") conseguente al silenzio che uccide il suo urlo di aiuto. Gli occhi di chi assiste dialogano con il buio, creando suggestioni che aumentano la sensazione di essere sempre più invischiati in una materia densa, una materia cerebrale torbida e in disfacimento. Le impressioni sonore nascono per suggerire la corsia d'ospedale dal cui letto la protagonista leva il suo grido, ma riescono a sottolineare la discesa verso il buio definitivo, la densità, la pastosita' della mente di Sarah Kane.
Delirante, certo, ma non cosi' distante da noi da non costringerci a interrogarci su quale sia il confine dell'equilibrio mentale. "Muoio per il desiderio vitale di essere amata": condividiamo le stesse emozioni, ma Sarah nega la nostra estraneità nei confronti di gesti estremi facendoci essere sempre vigili verso noi stessi e verso quello che ci aspettiamo dagli altri.

La difficoltà di vivere accompagna anche il personaggio di Amleto, incapace di affrontare l'uccisione del padre e le responsabilità che ne conseguono: la relazione, inaccettabile, tra la madre e lo zio-assassino Claudio, il rapporto con Ofelia, che Amleto non riesce a sostenere.
Il dramma shakespeariano e' stato riscritto da Magdalena Barile, che ha realizzato "Un altro Amleto", messo in scena da Sandro Mabellini (regista che altrove ha dimostrato di saper far emergere luci e ombre dei testi affrontati, soprattutto "Dracula" di Dejan Dukovski e "Tu (non) sei il tuo lavoro").
Il problema, nel cimentarsi con i Classici, sta nel trovarne l'attualità: siamo d'accordo con l'indiscutibile principio brechtiano dell'essere liberi di interpretarli senza eccessivi timori reverenziali; la rilettura, pero', non può prescindere da un peso specifico che escluda il rischio di banalizzazione.
Questo Amleto della Barile non e' "altro" da quello del Bardo: i vestiti contemporanei, cosi' come l'ambientazione in una ricca famiglia imprenditoriale del Nord, non allontanano dal castello di Elsinore. I legami tra i personaggi, le loro intenzioni, i sentimenti rappresentano l'aspetto più potente del testo: ma sono quelli scritti da Shakespeare! Da qui la sensazione che si tratti di un "travestimento" di Amleto che nulla aggiunge al capolavoro originale, confermando ancora una volta che cimentarsi con i grandi Classici, già perfettamente scritti, e' un rischio che forse vale la pena correre in presenza di un'idea forte almeno quanto l'originale. Vestire Ofelia come una ragazzina punk non attualizza il testo, lo banalizza. Come banale suona l'eco delle parole più celebri della storia del teatro di sempre. "Siamo fatti della stessa pasta di cui e' fatto il mare".
Interessante, invece, l'uso del video in dialogo con la scena: troppo esiguo per limitare i dubbi su questo "altro Amleto".
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martedì 5 luglio 2011

Castiglioncello, Inequilibrio XIV - 4^ giornata di festival, 4 luglio 2011

Sensazione di dilatazione del tempo. A Castiglioncello la percezione del tempo e` alterata: tempo sospeso, per la tranquillità del luogo, tra la Pineta Marradi e il lungomare; e tempo densissimo, grazie alla ricchezza del programma che Armunia sta regalando al panorama festivaliero italiano.
Ricchezza che non significa confusione: Inequilibrio e non "disequilibrio".

Come ha detto uno tra gli autorevoli critici accreditati al festival, "anche se si vedono tre, quattro spettacoli di seguito non ci si annoia mai".
Impossibile non trovare stimoli nella varietà di linguaggi ospitati da Armunia: dalla nuova drammaturgia di Massimiliano Civica, alla liricita` dei nuovi lavori firmati da Virgilio Sieni, ai sorprendenti spettacoli per i bambini, fino all'allestimento claustrofobico e potentissimo di "Psicosi delle 4 e 48" di Sarah Kane.
Sono loro i protagonisti di queste prime quattro giornate di festival.
"Attraverso il furore" di Massimiliano Civica e' un lavoro complesso, che porta in scena la parola di Meister Eckhart, pensatore medievale contemporaneo di Dante - e intriso della materia filosofica e delle suggestioni spirituali del periodo. Si alternano e si incastrano tre quadri scritti dal drammaturgo Armando Pirozzi: tre storie indipendenti l'una dall'altra, non un commento ai sermoni, ma vacue istantanee di un uomo e una donna, di cui si colgono i frammenti della loro identità nel momento - vicinissimo e irraggiungibile - dell'incontro.
Il lavoro richiede una seconda visione per essere apprezzato. L'effetto straniante e' provocato dalla distanza tra le vette del pensiero di Eckhart e la quotidianità di storie contemporanee in cui pare di scorgere l'eco di quell'incomunicabilità che tanto e' stata approfondita dal cosiddetto teatro dell'Assurdo.
Tra gli attori vogliamo citare il fascino leggero ma potente di Valentina Curatoli.

Le "star" delle prime giornate sono due generazioni umane che stanno regalando esperienze di partecipazione emotiva incredibili: solo la genialità artistica di Virgilio Sieni poteva intuire e far affiorare il mondo interiore delle nonne e delle bambine.
Nonna Lina, protagonista non dichiarata di "Cinque nonne", sorprendente novantunenne proprietaria del giardino incantato in cui si svolge lo spettacolo, e' a prova di cinismo: nei suoi occhi possiamo vedere la pesantezza, la ricchezza, la sofferenza, la pazienza di tutta una vita. Ci si commuove non per retorica, ma per la forza con cui i suoi occhi si fanno finestra aperta sul giardino del passato.

Linda, Noemi, Emma: sono le tre protagoniste di "Fuga". Sulle note di Balanescu Quartet e Anthony and The Johnson queste undicenni perfettamente impostate tecnicamente descrivono simbolicamente il complicato percorso di scoperta e crescita della propria identità. Ed e' incredibile quanta maturità esprimano nell'interpretazione: ogni sera e' un'emozione capace di toccare corde che, spesso, lasciamo che si atrofizzino.

I bambini stanno riservando sorprese e soddisfazioni a questo festival. Se l'operazione, originale, di far realizzare spettacoli per i più piccoli a gruppi che solitamente si rivolgono al pubblico adulto (Kinkaleri, Babilonia Teatri, Teatro Sotterraneo) sta spiazzando il pubblico, le merende letterarie di Fosca stanno letteralmente catturando bambini e genitori. Abbandonando la stantia formula dello spettacolo con i bambini seduti ad osservare, per poi ricevere alla conclusione la merenda, Fosca propone un momento in cui i bambini possono stare all'aperto (in questo caso nella cornice bellissima del Parco del Castello), giocare con gli attori, scegliere il percorso di fruizione più naturale per loro, in mezzo alle azioni simultanee dei protagonisti dei testi letterari raccontati: le favole di Esopo, "La fattoria degli animali", "Alice nel paese delle meraviglie".
I bambini sono coinvolti in un'esperienza formativa ed educativa pensata dal loro punto di vista: il segreto del successo di Fosca e' che rispondono alle esigenze dei bambini.
Aspettiamo con tanta curiosità la lotta nel fango che animera' l'ultimo weekend del festival alla Pineta Marradi.


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mercoledì 29 giugno 2011

Castiglioncello, Inequilibrio - giorno 3

La vita da festival e' davvero divertente. O meglio, la vita da residenza creativa: e mancano ancora tre giorni alla data di inizio!
Castello Pasquini e' talmente bello che non si può far altro che godersi le colazioni con vista sulla pineta e sul mare, e vivere in residenza permette di rubare gli scorci meno scontati degli artisti, cogliendo i momenti di disimpegno, di distensione tra i membri di quel microcosmo sociale che sono le compagnie.

Terzo giorno: ieri riunione di tutto lo staff con il Direttore di Armunia, Andrea Nanni.
Entriamo insieme nello spirito di Inequilibrio 2011, quattordicesima edizione, la prima sotto la direzione di Nanni.
Non una rivoluzione, ma un'evoluzione in continuità con il passato sviluppando tre "fili" che compongono il tessuto unitario del festival.
Ogni evoluzione non può non partire dalla tradizione: quindi, rispondendo alla vocazione di Armunia, il cuore del festival sara` Castello Pasquini con la sua tensostruttura, che durante l'inverno ospita le attività dell'associazione. A differenza delle precedenti edizioni il festival non ospiterà solo gli spettacoli frutto delle residenze creative, ma anche vere e proprie corpoduzioni: undici in totale, sette di teatro (tra cui "Attraverso il furore" di Massimiliano Civica e "Un altro Amleto" di Magdalena Barile) e quattro di danza (tra cui i progetti creati da Virgilio Sieni appositamente per il festival).
Inequilibrio si allinea, cosi', ai festival di produzione (la maggior parte di quelli che presentano debutti di compagnie di ricerca).
L'altro filone che sviluppa questa edizione rappresenta una novità assoluta nel panorama dei festival italiani: la compresenza di una sezione dedicata ai bambini. Lo scopo e' quello di "lavorare con continuità in questo settore", come ha detto Nanni. Il successo ottenuto durante l'inverno dalle domeniche pomeriggio a teatro dedicate ai bambini ha creato i presupposti per costruire un progetto contestualizzato: Nanni ha chiamato alcune compagnie che solitamente producono per il pubblico adulto (Teatro Sotterraneo, Babilonia Teatri, Kinkaleri) a lavorare per i bambini, accanto a compagnie storiche di teatro ragazzi e a iniziative - come le merende organizzate dal gruppo Fosca - tipicamente contestualizzabili durante un festival.

Andrea Nanni, dal suo insediamento ad Armunia, ha avviato un dialogo con il territorio destinato ad essere approfondito in futuro. In questa direzione lavora anche il festival, che propone spettacoli ed interventi artistici (sul modello dei flash mob) fuori dagli spazi teatrali: la pineta, il porto, il lungomare, ma anche locali ("Senza fine" di Artimbanco) e negozi (Collettivo Cinetico).
Il legame con il territorio si stringe anche intorno alla memoria storica degli anziani: da qui il progetto che Virgilio Sieni ha sviluppato lavorando con cinque nonne e allestendo lo spettacolo nella casa di una di loro.

Inequilibrio 2011, dunque, propone spettacoli "diversissimi tra loro, ma tutti molto forti" - come precisa Nanni. Bandite etichette e categorie per inquadrare gli spettacoli e definire il festival: quella parte di critica che sente la necessita` di incasellare gli artisti in compartimenti stagni si troverà, forse, in difficoltà per l'eterogeneità delle proposte. Noi siamo pienamente d'accordo con Nanni quando afferma che uno dei problemi del teatro italiano e' proprio il ricorso a categorie immobili, e ci piace il suo modo di interpretare il ruolo di direttore artistico: "non mi interessa quale linguaggio un artista sceglie di usare, ma mi interessa che quell'artista mi emozioni, nel senso etimologico del termine, cioe` sposti le mie aspettative".
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martedì 28 giugno 2011

Castiglioncello, Inequilibrio 2011 - Preview

In partenza per Castiglioncello, destinazione Festival Inequilibrio (la mia prima volta in un festival), faccio qualche riflessione.

Armunia Festival degli Etruschi è un'associazione di Comuni della provincia di Livorno e di Pisa, nata nel 1996 per promuovere spettacoli sul territorio.
Avendo sede nello splendido Castello Pasquini, edificio neo-gotico che domina la pineta di Castiglioncello, Armunia fin dall'inizio ha cercato di conciliare tradizione popolare con proiezioni sul futuro attraverso l'attenzione alla contemporaneità. Si forma, così, l'identità che caratterizza Armunia e tutte le sue attività, nate all'interno del Castello, trasformato in casa degli artisti: un luogo eletto per la creazione artistica, lo scambio, l'incontro.
Questo lavoro di residenze artistiche, ospitalità, collaborazione con le scuole del territorio (e di tutte le attività che fanno pulsare questo centro di produzione di cultura, tra cui citiamo il progetto su teatro e diverse abilità), sfocia nel festival estivo, Inequilibrio.

Inequilibrio perché la creazione artistica è sempre instabile, feconda di nuove scoperte e nuove consapevolezze, ma sempre alla ricerca di nuovi linguaggi, nuovi messaggi, ricettiva della realtà circostante.
Infatti Inequilibrio e' una bussola per orientarsi in questo nostro presente attraverso la restituzione che ce ne danno il teatro e la danza contemporanei, in quanto tali aperti alle contaminazioni degli stili.
Da qualche mese Armunia ha cambiato direttore: ora è Andrea Nanni a portare avanti lo sviluppo del progetto.
Come ha scritto su Teatro e Critica Simone Nebbia, che lo ha incontrato recentemente, il lavoro di Nanni si sta concentrando sui due aspetti della mediazione e comunicazione, consolidando il radicamento sul territorio che Armunia ha costruito in questi anni.
E' stato proprio Nanni a scegliere, in mezzo a tantissimi, il disegno simbolo di questa quattordicesima edizione di Inequilibrio: delle enormi bolle, a significare un passaggio morbido e una instabilità armoniosa.
I contenuti del festival sono evidentemente figli della vocazione al nuovo e alla tradizione che contraddistingue Armunia.

La danza contemporanea di Virgilio Sieni, delle Supplici, di Kinkaleri; il teatro dei Sacchi di Sabbia, di Teatro Sotterraneo, Babilonia Teatri, Punta Corsara: sono solo alcuni nomi di punta tra i 43 spettacoli che animeranno Castiglioncello e dintorni. Tra le novità, infatti, c'e' l'apertura del festival ai Comuni limitrofi: Rosignano Solvay, Castellina Marittima, Guardistallo e Castagneto Carducci.

Il ponte suggerito dall'immagine disegnata da Gipi potrebbe essere diretto verso Santarcangelo - come suggerito da Simone Nebbia.
Noi vorremmo che, in questo momento, fosse semplicemente un ponte per unire le dispersioni che spesso dividono il mondo del teatro (sia esso tradizionale, sperimentale, coreutico, comico, musicale): l'unico modo per uscire dai fondali di una crisi di identità (sul ruolo e le funzioni del teatro oggi) prima ancora che finanziaria.
Visita il sito ufficiale di Armunia e festival Inequilibrio
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domenica 26 giugno 2011

"QUANDO TROVI UN MAESTRO TROVI TE STESSO"

Un luogo di calma all’interno della confusione metropolitana: è il Festival Teatro e Spiritualità che per una settimana fa vivere il Teatro Out Off di una nuova energia.



La parola yoga contiene la radice yuj, che in sanscrito significa “unione”. È una disciplina che consente di ricongiungere i vari frammenti dell’Io in una identità unitaria.

Con la rivelazione del significato di yoga si inaugura il Festival Teatro e Spiritualità, manifestazione organizzata dal Teatro Out Off in collaborazione con Fondazione Art of Living e Associazione Teatro MaMa, per avvicinare alla conoscenza della cultura spirituale indiana attraverso il linguaggio del teatro, della musica, della danza. Un’opportunità che vale la pena di cogliere per riavvicinarsi a una autenticità annullata dalla frenesia della nostra vita.

Le serate del festival prevedono diverse attività: un pre-spettacolo (indicato simpaticamente come “Yoga in Poltrona”), un dopo spettacolo (“Assaggi di Saggezza”) con cena vegetariana, e, ovviamente, lo spettacolo intitolato Il canto di un uomo felice.
Entrando in sala il pubblico viene fatto accomodare mantenendo qualche posto vuoto tra uno spettatore e l’altro per agevolare i movimenti. Una insegnante della Art of Living, seduta sul palcoscenico, parla con una voce così rilassante che le tensioni della giornata sono tentate di togliere il disturbo spontaneamente. Quindici minuti di yoga base per imparare che respirando attivando il diaframma (il muscolo di cui dimentichiamo l’esistenza non appena impariamo a “tenere in dentro” la pancia) e applicando un leggero massaggio su tutto il corpo possiamo fermare il tempo, svuotare la mente, rilassare i muscoli carichi di tensione.

In questo stato di benessere si assiste allo spettacolo Il canto di un uomo felice, adattamento teatrale dell’opera omonima, a cura di Giorgio Minneci e Cristina Tuscano.
Nel 1991 il maestro spirituale Sri Sri Ravi Shankar commenta il testo della tradizione vedica Ashtavakra Gita, il Canto di Ashtavakra, basato sul dialogo tra Re Jeneca – desideroso di conoscere la via per raggiungere la conoscenza che rende liberi – e il saggio Ashtavakra, nato storpio ma con la capacità di essere felice.
«La vita può essere facile se vuoi che lo sia»: il saggio predica il cambiamento interiore attraverso la disciplina del corpo e della parola, e conduce Jeneca a uno stato di consapevolezza interiore che lo fa vivere in pace con se stesso e con gli altri, nella libertà delle proprie azioni e dei propri pensieri.

Nell’adattamento teatrale gli insegnamenti di Ashtavakra sono accompagnati da aneddoti che rendono più scorrevole un testo molto denso di assunti spirituali. Lo schema drammaturgico risulta, però, alquanto ripetitivo nel reiterare la successione dottrina, aneddoto, controscena dei servi (che vivono in prima persona la trasformazione dalla diffidenza e dalla cattiveria all’abbandono e all’amore).
Pur mostrando evidenti lacune registiche, lo spettacolo colpisce per l’intensità del contenuto e per la capacità di coinvolgere emotivamente chi vi assiste. Nonostante un eccesso di didascalicità nel mettere in scena gli insegnamenti di Ashtavakra, non possiamo evitare di interrogarci sul senso del nostro vivere quotidiano, tra frustrazioni e rabbia, alla ricerca di una felicità esteriore che non è autentica, dimenticando chi siamo e perdendo la bellezza dell’attimo presente. «Il presente è inevitabile»: ricorda molto l’hic et nunc (il “qui e ora”) che definisce il teatro. Forse è possibile trovare una nostra identità individuale e collettiva nel luogo che vive dell’attimo presente: il teatro.

Le riflessioni vengono condivise, dopo lo spettacolo, al ristorante del teatro, davanti ai piatti vegetariani ispirati alla cucina indiana: gustosa conclusione di un’esperienza che apre lo sguardo a una consapevolezza maggiore – il primo passo verso il cambiamento.
visto al Teatro Out Off il 21.VI.2011

Leggi la recensione su Persinsala

IL CANTO DI UN UOMO FELICE – Ashtavakra Gita

a cura di Giorgio Minneci

di Sri Sri Ravi Shankar
regia Giorgio Minneci
adattamento drammaturgico Giorgio Minneci e Cristina Tuscano
con Emanuele Arrigazzi, Giorgio Minneci, Stefania Pepe, Nicola Stravalaci
scene e costumi Clara Gazzilli
musica Marc Citroen
ombre Federica Armillis

(durata 80 minuti)

lunedì 20 giugno 2011

IL SENSO AMARO DELLE RELAZIONI


Amore e vendetta protagonisti di Senso, in scena al teatro Filodrammatici di Milano, per un interessante finale di stagione.

Un lucido ritratto psicologico femminile: la novella Senso di Camillo Boito (già tradotta in opera cinematografica da Luchino Visconti, e a cui si è liberamente ispirato lo spettacolo andato in scena al teatro Filodrammatici) ripercorre la relazione adulterina vissuta dalla contessa Livia Serpieri con l’ufficiale tedesco Remigio. L’epilogo tragico, determinato dalla vendetta dell’amante tradita, è motivo di riflessione quotidiana per la donna: quasi una tortura a cui si sottopone volontariamente per espiare, attraverso la lacerazione del ricordo, le colpe di cui si è macchiata sedici anni prima.

La novella disegna una protagonista ambiziosa e cinica nel manipolare gli uomini usando il potere della sua bellezza, ma colpevolmente ingenua nel credere alle promesse del soldato.
La riduzione teatrale, realizzata da Gianni Guardigli, opacizza la prismatica sfaccettatura della figura della contessa, uniformandola a un orizzonte psicologico orientato alla nevrosi di una donna che reitera ossessivamente il ritorno al proprio passato.
La trasposizione, in verità, è più che “liberamente ispirata” alla novella: infatti ne ripropone fedelmente la vicenda, con l’eccezione dello slittamento temporale dell’ambientazione (la relazione al centro della trama è ambientata nella Seconda Guerra Mondiale e non più durante le Guerre d’Indipendenza).

La regia di Francesco Branchetti fa emergere la caratteristica di monologo interiore insita nello «scartafaccio segreto della contessa Livia»: infatti ha posto un deciso accento sul percorso di introiezione, da parte della protagonista, di tematiche archetipiche come la passione, la gelosia, l’orgoglio, la vendetta. Mentre, però, la novella entrava nella psicologia femminile con acuta sensibilità, lo spettacolo compie un «viaggio nel mondo femminile» in cui pesa la mancata resa drammatica di alcuni momenti importanti nella vita della contessa Livia.

Spunti interessanti vengono offerti dagli aspetti tecnici: scenografia, luci e musica. Il palco, infatti, è disseminato di simboli (ci saremmo aspettati una interazione più stretta tra l’interprete e gli oggetti scenici): manichini che sembrano alludere agli uomini della contessa; il letto, metafora della passione che ha portato la protagonista alla rovina emotiva; lo scrittoio, luogo del ricordo e della scrittura delle memorie. Di sicura efficacia le luci e la musica: le sottolineature creano suggestioni misteriose di discesa in zone oscure della psiche femminile.
Le evidenti potenzialità di questo spettacolo potrebbero essere esplorate più a fondo anche sul piano interpretativo: Isabella Giannone, attrice che da lungo tempo lavora con Branchetti, offre alla contessa Livia solamente il registro drammatico dell’enfasi e dei passaggi emotivi troppo rapidi per risultare credibili.

Senso è un processo vissuto tutto all’interno di una donna che si fa imputata e accusatrice di se stessa. È lecito che una passione divampante si trasformi in vendetta crudele fino all’omicidio a causa del tradimento? Insieme a Livia riflettiamo sul senso di stabilire dei legami di fiducia e di rispetto; di questa affascinante e contraddittoria figura femminile ammiriamo incondizionatamente il coraggio di non avere paura di guardare negli occhi le proprie «bassezze» o di essere consapevole che «il mio spirito nell’umiliarsi si esalta».

visto al Teatro Filodrammatici il 13.VI.2011  
 
Leggi la recensione su Persinsala 
 
SENSO 

liberamente ispirato alla novella di Camillo Boito 

di Gianni Guardigli 

regia Francesco Branchetti 

con Isabella Giannone  

(durata 55 minuti)

domenica 5 giugno 2011

GRAN FINALE DI STAGIONE

Spettacoli, rassegne, eventi da non perdere in questo finale di stagione.

TEATRO LA CUCINA

DA VICINO NESSUNO E' NORMALE
Quindicesima rassegna, organizzata dall'associazione Olinda, che rende omaggio a Franco Basaglia e che si svolge nell'ex ospedale psichiatrico Paolo Pini di via Ippocrate 45.
La rassegna si apre domenica 12 con la proiezione del documentario di Alessandro Penta dal titolo
VIA IPPOCRATE 45.
Tra gli spettacoli più interessanti segnaliamo:  

IL REGNO PROFONDO di Claudia Castellucci della Socìetas Raffaello Sanzio (giovedì 16 giugno);
LA FILA INDIANA - IL RAZZISMO E' UNA BRUTTA STORIA di Ascanio Celestini sul tema del razzimo (sabato 18 giugno);
Teatro delle Albe con RUMORE DI ACQUE (con il patrocinio di Amnesty International, sabato 25 giugno) e NON-SCUOLA (esito del laboratorio teatrale con gli adolescenti, mercoledì 29 giugno);
LE FUMATRICI DI PECORE della compagnia Abbondanza/Bertoni (venerdì 1 luglio);
DIMMI CHE PRINCIPESSA SEI di Mimmo Sorrentino con la compagnia ATIR (martedì 5 luglio);
LUCIDO di Rafael Spregelburd con la regia di Costanzo/Rustioni: da non perdere un testo comicamente sardonico del giovane autore argentino (mercoledì 6 luglio);
CORSIA DEGLI INCURABILI uno spettacolo di Valter Malosti con Federica Fracassi (venerdì 15 luglio).

Leggi il programma completo sul sito www.olinda.org 

DAL 12 GIUGNO AL 24 LUGLIO 
Teatro La Cucina
Via Ippocrate, 45
tel. 02/66200646


SPAZIO SCIMMIE NUDE

UBRIACATI DI CULTURA
Dal 14 giugno al 12 luglio, per cinque martedì, lo Spazio Scimmie Nude sarà teatro di una rassegna che unisce il disimpegno dell'aperitivo a letture e performances teatrali: un aperitivo letterario che, dalle 19.45 alle 22.30, rappresenta un modo diverso e non banale di concludere la giornata.

Questo il programma dei cinque martedì:
martedì 14 giugno - PARTITURE FUTURISTE
martedì 21 giugno - UBRIACATI DI CULTURA: letture sul vizio più gustoso che c'è, il vino!
martedì 28 giugno - LETTURE DANTESCHE
martedì 5 luglio - CIBATI DI CULTURA: letture dedicate al cibo
martedì 12 luglio - UBRIACATI DI CULTURA

dal 14 giugno al 12 luglio
SPAZIO SCIMMIE NUDE
Piazza Perego, 11
info@scimmienude.it
tutte le info sul sito www.scimmienude.com 
 
TEATRO FILODRAMMATICI

La compagnia "Gli Zimbardi" presenta:
QUELLO CHE C'E' FUORI
di Dario Merlini
regia di Andrea Lapi, Dario Merlini e Umberto Terruso
spettacolo vincitore del Premio Giovani Realtà del Teatro della Civica Accademia d'Arte Drammatica Nico Pepe di Udine 2010

Sei sconosciuti trovano ospitalità in una casa isolata, che diventerà il loro rifugio da difendere e conquistare ogni giorno, mentre quello che c'è fuori continua il suo corso.

MERCOLEDI' 15 GIUGNO 
ore 20.30
Teatro Filodrammatici
via Filodrammatici, 1 
tel. 02/36595671


TEATRO ELFO PUCCINI

CHICAGO BOYS
testo e regia di Renato Sarti
Il grande successo di Renato Sarti si trasferisce dalla propria "casa", il Teatro della Cooperativa, e arriva in scena al Teatro Elfo Puccini, a testimoniare un bel sodalizio artistico tra Sarti e gli "elfi".
Non dimentichiamo che Chicago boys era uno dei testi teatrali finiti della lista nera dell'"illuminato" Assessore Maerna, che voleva censurarlo.

dal 7 al 19 giugno
Teatro Elfo Puccini/Sala Fassbinder

URGE
di e con Alessandro Bergonzoni
A grande richiesta, dopo il successo delle repliche a marzo, torna la nuova creazione del "paroliere" Bergonzoni. Per ridere sul presente, con l'amarezza che uno sguardo intelligente non può non avere.

dal 14 al 19 giugno
Teatro Elfo Puccini/Sala Shakespeare

Corso Buenos Aires, 33
tel. 02/00660606

TEATRO LITTA

DON GIOVANNI A MOSCA CIECA
da Anatol di Arthur Schnitzler
drammaturgia di Alessandra Scotti 
regia di Silvia Giulia Mendola
Una drammaturga e una regista entrambe giovani, ma già affermate: insieme costruiscono un testo che vede protagoniste cinque donne che mettono alle strette Don Giovanni per farlo riflettere sui confini della fedeltà, della gelosia, dell'amore (e della sua fine).

dal 13 giugno al 9 luglio
Teatro Litta
Corso Magenta, 24
tel. 02/86454545

Buon teatro a tutti!   

IL DESTINO DI UN POPOLO

Un “mal d’Africa” intriso di festa e denuncia: è Verdilizzante in scena al Teatro Out Off.


Alcune note di musica elettronica, i vocalizzi lirici del soprano Bingbing Wang, la scena che, illuminata dalle luci di taglio che creano movimenti di penombra, si anima di suggestioni africane: entriamo subito in un mondo fatto di riti atavici, di gesti, di colori.

Alfie Nze, giovane autore di origini nigeriane, porta in scena il suo quarto spettacolo: Verdilizzante. Il titolo è un ironico gioco di parole tra “fertilizzante” e “verde”, il colore che la pelle assume dopo essere entrati in contatto con la misteriosa sostanza portata in Nigeria dagli aiuti umanitari italiani: una sostanza che non serve a combattere l’arsura di una terra che non vede mai la pioggia, ma che provoca la morte. Sono rifiuti tossici, di cui l’Italia si è sbarazzata con un inganno.

L’argomento di Verdilizzante è tratto da un evento che, nella metà degli anni Ottanta, ha sconvolto la Nigeria: un carico di rifiuti radioattivi proveniente dall’Italia viene scaricato sulle coste nigeriane e utilizzato per errore dagli abitanti del posto come fertilizzante.

Alfie Nze ha scritto il testo immediatamente dopo questo disastro: non un atto d’accusa contro l’Italia, ma una vera opera di denuncia contro la presunzione di tutti i Paesi occidentali di avere più diritto di altri popoli di vivere in un ambiente pulito, e contro l’arroganza di utilizzare i Paesi del Terzo Mondo come la propria legittima discarica.

Una tematica quanto mai attuale in un momento storico dominato dai disastri ambientali e dalle polemiche sul nucleare, rinvigorite dal recente disastro di Fukushima.

Protagonista è una madre che attende con speranza un futuro migliore per il proprio bambino e per il proprio popolo: riceve con gioia la notizia dell’invio degli aiuti dall’Italia, ma presto la speranza lascia il posto al dolore.

Con un linguaggio che trae spunto dalla performance e dal teatrodanza, lo spettacolo mette in scena un popolo festoso e colorato, martoriato da una siccità devastante, ma capace di essere ottimista e di avere fiducia nella solidarietà degli uomini.

Il ruolo della madre è interpretato dalla danzatrice Britta Oling, una splendida figura che, con i suoi movimenti, trasmette la leggerezza e la ricchezza spirituale di un intero popolo.

Insieme a lei in scena Rufin Doh, a cui è affidata la scena rituale della lettura dei segni divini, e il doppio ruolo di narratore e di cinico trafficante che si arricchisce sulle morti provocate dai rifiuti tossici. Accanto a loro una compagnia eterogenea in cui si mescolano etnie differenti.

La regia di Alfie Nze, se a volte scivola in una rappresentazione stereotipata del popolo africano, riesce a trasportarci in un universo di simboli e gesti appartenenti a una cultura che mette al centro l’Uomo.

E’ una serata in cui si respira aria di festa: i colori e la musica dello spettacolo, una platea composta, per una volta, da un pubblico diverso dagli habitués del teatro, e gli auguri che, alla fine dei ringraziamenti, Alfie Nze rivolge al Teatro Out Off perché si possa aprire, a Milano, una nuova stagione anche per la cultura. Un augurio che tutti sentiamo come rivolto un po’ anche a noi, perché - come si dice nello spettacolo - «si possa aprire una nuova stagione di speranza».
visto al Teatro Out Off il 30.V.2011
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VERDILIZZANTE

Testo e regia Alfie Nze
Con Rufin Doh, Britta Oling, Libero Stelluti, Karun Grasso, Bingbing Wang, Giuliana Bellini, Taty Rossi, Jiae Kim
Musiche originali Maurizio Corbella
Coreografie Britta Oling
Costumi e scenografia Stefania Coretti e Vittoria Papaleo
(durata un’ora)

domenica 29 maggio 2011

CHI E' DI SCENA! dal 30 maggio al 5 giugno

Spettacoli, incontri ed eventi da non perdere nella settimana teatrale dal 30 maggio al 5 giugno.

LUNEDI'30 MAGGIO
DATA UNICA
VERDILIZZANTE
testo e regia di Alfie Nze
Cosa succede se si scambiano rifiuti radioattivi per fertilizzanti? Il disastro è assicurato. 
Testo dell'autore nigeriano che denuncia l'utilizzo criminale dei Paesi del Terzo Mondo come discarica dei Paesi cosiddetti civilizzati.
Teatro Out Off 
Via Mac Mahon, 16 - tel. 02/34532140

MARTEDI' 31 MAGGIO
DEBUTTO
LA DISCESA DI ORFEO
di Tennessee Williams
uno studio di Elio De Capitani
Teatro Elfo Puccini - FINO AL 2 GIUGNO
Corso Buenos Aires, 33 - tel. 02/00660606

MERCOLEDI' 1 GIUGNO
DATA UNICA
LA FILA INDIANA - IL RAZZISMO E' UNA BRUTTA STORIA
di e con Ascanio Celestini
Autore impegnato e militante, Celestini crea uno spettacolo assemblando materiale differente con il consueto, necessario intento di scuotere le coscienze. 
Carroponte
Via Granelli, 1 - Sesto San Giovanni - tel. 02/36563958

VENERDI' 3 GIUGNO
DEBUTTO
IL LEGAME di August Strindberg
regia di John Alexander Petricich
Guerra tra i sessi e le difficoltà dei rapporti coniugali al centro del dramma, ancora attualissimo, dell'autore svedese.
Teatro Out Off - FINO AL 5 GIUGNO 
Via Mac Mahon, 16 - tel. 02/34532140

FINO AL 5 GIUGNO CONTINUANO LE REPLICHE DI...
HILDA
Teatro i 
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PRECARIE ETA'
di Maurizio Donadoni
regia di Cristina Pezzoli
con Maria Paiato e Patrizia Milani
Teatro San Babila - FINO AL 12 GIUGNO
IL PARADOSSO DEL POLIZIOTTO
Teatro Arsenale

Buon teatro a tutti!

sabato 28 maggio 2011

SCIMMIE NUDE: PROSEGUE IL LAVORO DI INDAGINE SULL'UOMO CON "I CENCI" DI ARTAUD

Il Teatro della Contraddizione si trasforma in agorà: in scena ci sono I Cenci, coraggioso spettacolo con cui le Scimmie Nude costringono il pubblico a svegliare le coscienze.

 
Gaddo Bagnoli, regista della Compagnia Scimmie Nude, si rivolge all’autore che ispira la sua poetica teatrale: Antonin Artaud, che nel 1935 anticipa il suo «Teatro della Crudeltà» con I Cenci, testo che segna l’abbandono del teatro “tradizionale”.

I Cenci è ambientato nel 1599 e trae spunto dalla storia vera della nobile famiglia romana dei Cenci. Protagonisti: il conte Cenci, satanico cultore del delitto (inteso sia come assassinio che, in senso esteso, come peccato); la moglie Lucrezia, impotente vittima delle torture del marito; la figlia Beatrice, calice in cui si riversa l’estrema violenza del conte, e che si trasfigurerà in Giustizia e Vendetta per uccidere il padre. Per questo delitto verrà condannata: allo spettatore è data facoltà di stabilire se a torto o a ragione.

La vicenda dei Cenci mostra una concreta efficacia paradigmatica: il conte incarna la volontà di distruggere la società partendo dal primo nucleo sociale, la famiglia. Le sue azioni di violenza crudele ed efferata raggiungono gli estremi eccessi della tragedia greca sul modello di Seneca, arrivando alla rappresentazione dell’incesto e del parricidio.

Gaddo Bagnoli ci consegna uno spettacolo per molti aspetti non finito – come ci si aspetta da un proficuo lavoro di ricerca. Sulla scena simbolica – una geometria di linee bianche che alludono alle forme della città ma anche a quelle del palazzo nobiliare – si amalgamano i professionisti della compagnia con gli allievi dell’Atélier Scimmie Nude: nato come momento conclusivo della formazione dei giovani allievi, I Cenci viene portato a livello di spettacolo in grado di sostenere il pubblico, e gli attori hanno la maturità per reggere un’ora e mezza serrata sui ritmi dettati dal lavoro intenso del regista sulla recitazione e sulla resa testuale.
La direzione della ricerca è quella consueta delle Scimmie Nude: spogliare la recitazione da qualsiasi residuo di psicologismo, e rendere il corpo e la voce degli interpreti strumenti per mostrare una vicenda esemplare.

Affrontare un testo poco rappresentato scomponendolo, come fanno le Scimmie Nude, è operazione coraggiosa e interessante per le prospettive interpretative che apre: tutti gli elementi sono investiti di simboli, dai colori dei costumi (nero di morte per il conte, bianco senza colpa per Lucrezia, rosso di passione e sangue per Beatrice) all’utilizzo del coro (libera ed efficace interpretazione del testo originale). E’ un coro che accompagna, circonda, giudica, scappa dal protagonista. I ruoli non sono fissi, ma diversi attori si alternano nell’interpretare i personaggi del conte, di Lucrezia e di Beatrice, a sottolineare come non si tratti della rappresentazione di una vicenda particolare, ma di temi universali. La dimensione rituale cui fa riferimento la messinscena è sottolineata dai suoni realizzati dal vivo con strumenti e voci.

I Cenci vuole spingere lo spettatore a scegliere il proprio ruolo nella società: condividere il delitto dell’ingiustizia attraverso l’indulgenza che si fa complice, oppure reagire con coscienza e, attraverso la professione della propria libertà, mantenersi innocenti?
Un’innocenza negata a Beatrice, che pure è mossa dall’ideale della giustizia. «Accetto il delitto, ma nego la colpa»: espiare il peccato è impossibile senza pentimento.

I Cenci è uno spettacolo che può crescere, e ci auguriamo possa essere approfondito, nonostante l’impostazione di Bagnoli si presenti più adatta ai testi da lui elaborati.
visto al Teatro della Contraddizione il 23.V.2011

I CENCI
di Antonin Artaud
adattamento e regia Gaddo Bagnoli
con Angelo Bosio, Michela Bologna, Eri Cakalli, Paola Figini, Claudia Franceschetti, Federica Garavaglia, Elena Lietti, Igor Loddo, Andrea Magnelli, Stefania Morino, Marco Olivieri, Laura Rinaldi, Tania Ricciardi, Eleonora Zampierolo
   

"BLACKBIRD", SPETTACOLO 'POLITICO' SOSPESO TRA TRAGEDIA GRECA E TABU' CONTEMPORANEI

La storia del pluri-chiacchierato/descritto/rappresentato testo dello scozzese David Harrower l'hanno raccontata ormai tutti. Una scova Ray dopo quindici anni dalla fine, con abbandono, della loro relazione. Torna per dirgli tutto quello che è rimasto in sospeso. Fino a qui niente di insolito. Il particolare che muta scenari, implicazioni, densità dell'argomento è che all'epoca della loro relazione Ray aveva quarant'anni, Una dodici. Il tempo che li ha visti separati è stato intriso di galera e psicologi per lui, di assistenti sociali e psicologi per lei.

Foto di David Ruano

Non è un testo sulla pedofilia. Non è un testo che giudica.
Cos'è, allora, Blackbird?
E' un testo psicologico che, toccando stati emotivi generazionali comuni a tutti, emana una forza primitiva - purché ci si lasci guidare dal testo con curiosità e senza preconcetti.
E' un testo che crea diffidenza: inizialmente innocuo, innesca un'aspettativa sul suo imprevedibile sviluppo. I dialoghi intorno alle banalità delle prime battute lasciano il posto a un progressivo ispessimento della materia, e il peso specifico non è dato dall'argomento tout court, ma piuttosto da tematiche universali che indagano i meccanismi dell'amore e la scoperta di sé, che esplora le zone oscure di una mente vulnerabile, e che mostra la relatività delle posizioni. Harrower dimostra come giudicare i due personaggi sia insidioso e superficiale: Una e Ray sono entrambi vittime ed entrambi carnefici l'uno dell'altra. Con sorprendente intuizione l'autore ha ambientato la vicenda quindici anni dopo: il dramma vero, infatti, non è costituito dalla relazione - di cui, in verità, entrambi conservano un ricordo tenero - ma da quello che ha comportato la consapevolezza. Per lui, l'ammissione di aver commesso un errore; per lei, la coscienza di essere stata abusata. Nessuna istituzione, né la giustizia, né gli psicologi, hanno saputo fornire validi strumenti di ricostruzione del sé. E' straziante il racconto di Ray che spiega come abbia letto tutti i libri sui pedofili alla ricerca di uno specchio che gli rimandasse un'immagine di sé direttamente dalla sua coscienza.
E' un testo «politico», come lo ha definito lo stesso regista Lluis Pasqual, il quale costringe il pubblico alla partecipazione volendo le luci alte in sala per tutta la prima parte dello spettacolo, quasi a suggerire l'idea di luogo rituale, in cui i cittadini sono chiamati a riflettere su una situazione esemplare.

Il coinvolgimento e la forte partecipazione non ribaltano l'impressione che lo spettacolo sia stato tecnicamente sopravvalutato. Il testo non ha impressionato: la prima parte è inverosimile (due amanti che si incontrano dopo quindici anni non si parlerebbero così), e la grande scandalosità che ha reso necessario vietare lo spettacolo ai minori non ha scandalizzato, né il linguaggio è sembrato estremamente crudo. Blackbird, nondimeno, lascia degli ematomi dopo la visione: merito della capacità di Harrower di scavare in una situazione estrema portando alla luce le debolezze che, in maniera diversa da quella raccontata nel testo, segnano la vita di ciascuno. L'impazienza che da ragazzini porta a voler bruciare le tappe, il vuoto dell'abbandono e l'accusa nelle parole «mi avevi abbandonata dopo avermi fatto innamorare», lo strazio di subire una separazione.

La regia discreta di Pasqual è efficace per la scelta dell'ambientazione quotidiana: una stanza d'ufficio in disordine. Diverse le metafore: la spazzatura simbolo del disordine interiore dei due personaggi, la pedana che ruota quando Una inizia a ricordare i dettagli della sera dell'abbandono (e dell'arresto di Ray), segno esteriore di un vortice emotivo interiore. Metafore troppo cerebrali per essere determinanti nella resa del testo.

Lo spettacolo è affidato all'interpretazione dei due protagonisti: Massimo Popolizio presta a Ray un'umanità complessa; scava nel personaggio per dissotterrare angoli bui e offrire una generosa resa del prisma di emozioni, del vissuto a cui sa dare dignità, su cui riesce a tenere sospeso il giudizio. Un'altra intensa prova d'attore, costruita su una tecnica precisa, chirurgica, che gli consente di esplorare e trasmettere solo con le modulazioni vocali i molteplici stati psicologici del personaggio, rimanendo contemporaneamente sempre credibile, misurato, naturale.
Al contrario Anna Della Rosa appare costantemente sopra le righe: la voce sempre spinta e monocorde, e le intonazioni "cantate" hanno tolto credibilità al personaggio. La sensazione è che l'attrice stesse cercando di arrivare al personaggio da fuori, e non da un lavoro interiore. Il personaggio di Una è difficile, e forse necessita di un'attrice più matura. E' un ruolo che esige un lavoro interiore notevole per riuscire a farne emergere le caratteristiche di esemplarità quasi archetipica, come richiedono i personaggi del teatro classico. Per questo motivo possiamo considerare Blackbird un classico della contemporaneità.

«Mentre nella classicità tutto è consentito, nel moderno, stranamente e paradossalmente, ci sono dei tabù»: così Livia Pomodoro sullo spettacolo. Harrower rompe questi tabù, mostrandoci come in amore e nella vita ciascuno abbia la propria parte di colpa.
visto al Piccolo Teatro Studio il 25.V.2011

BLACKBIRD
di David Harrower
versione italiana Alessandra Serra
regia Lluis Pasqual
con Massimo Popolizio, Anna Della Rosa, Silvia Altrui

mercoledì 25 maggio 2011

CAINO DEL TEATRO DELLA VALDOCA: UN MESSAGGIO DI REDENZIONE, PACE, PERDONO

Quando Cesare Ronconi ha visto il Palazzo del Ghiaccio di via Piranesi a Milano lo ha immediatamente chiamato a farsi grembo della sua ultima creatura artistica: Caino, scritto da Mariangela Gualtieri, sua alter ego nel costituire e dare identità al Teatro della Valdoca lungo i 28 anni della sua storia.


La partecipazione (non si tratta di semplice visione) allo spettacolo chiarifica l'elezione del Palazzo del Ghiaccio come unica scelta possibile, trattandosi non di uno spazio fisico in cui svolgere un'azione teatrale, ma di un tempio in cui si riunisce l'assemblea dei cittadini per partecipare a un rito collettivo. La differenza rispetto alla comoda fruizione teatrale suggerisce inconsciamente una suggestione arcaica: laddove le poltroncine creano una distanza fisica forzata e involontaria tra uno spettatore e l'altro e tra la platea e la scena, la gradinata costringe lo spettatore alla vicinanza e all'involontario contatto con il vicino di posto, oltre che creare una comunione di fronte all'altare del rito. Si trasforma, così, in cavea.
La premessa sulla scelta del luogo è funzionale a inquadrare immediatamente l'ambito entro cui si muove Caino: l'ambito del rito, finalizzato alla catarsi.

Entrando al Palazzo del Ghiaccio si ha una sensazione di soffocamento: il bianco senza fine dilata lo spazio fino a renderlo avvolgente, fino a farlo percepire come una presenza viva.
La scena è delimitata sui tre lati da una cascata di teli bianchi e rossi: la purezza del divino e del Bene, il sangue della colpa e del Male. L'impatto visivo crea una suggestione di giardino paradisiaco (il cervo impagliato) e di altare sacrificale (il letto africano autentico in primo piano). Nello spazio scenico agiscono undici interpreti e sul fondo si intravvede il percussionista Enrico Malatesta che esegue le musiche dal vivo (mentre la parte elettronica è eseguita da Alice Berni).

Il tema dello spettacolo suggerisce una struttura a contrapposizioni: tra verbale e danzato, tra un personaggio (e tra un gruppo di personaggi) e l'altro. Il testo di Mariangela Gualtieri, un poemetto denso, generoso e ricco di impressioni visive ed emotive, viene affidato ai quattro personaggi definiti: l'Alato, muto angelo dolente ed etereo che si muove in una danza leggiadra, interpretato con delicatezza da Raffaella Giordano; il vigoroso e regale Lucifero-Illusionista (ma anche, all'inizio, ambiguo "doppio" in candide vesti del nero Caino) di Leonardo Delogu; la materna Maria/Madre Terra dalle sembianze di una profetica mendicante, una Mariangela Gualtieri ineguagliabile interprete dei suoi versi. E il Caino dello straordinario Danio Manfredini. La sua camminata iniziale ritualmente lenta, la pastosità della materia di cui riempie le parole che, per la loro intensità, si scolpiscono sulla pelle, la capacità di dare forma alla sofferenza e alla lacerazione interiore: il Caino di Manfredini è un essere gigantesco e astratto (come lo sono gli archetipi).
Attorno a loro sette danzatori si muovono danzando, correndo, giocando, strisciando sinuosi come animali: spietati, feroci, pietosi, impersonano l'umanità varia, mossa da sentimenti contrastanti di fratellanza, sangue, vendetta.

La regia di Ronconi orchestra un insieme polifonico che moltiplica i piani della visione con azioni che si svolgono contemporaneamente in due e più luoghi scenici. Vengono esplorate tutte le possibilità offerte dallo spazio, sia in verticale (con una scala a pioli da cui Lucifero investirà Caino del ruolo di fondatore della città nuova, ma anche di nemico degli uomini) sia ai limiti laterali (da cui escono i danzatori) e anteriore (la prima azione di Caino avviene fuori dallo spazio delimitato dalla scena, in un immaginario proscenio).
La prossemica è significante delle relazioni tra i personaggi: rari, e perciò importanti, i contatti fisici. Citiamo l'intensa scena della lotta tra Caino e l'Alato: la misurata espressione emotiva dei personaggi non indebolisce e non astrae l'agone.
La ritualità dello spettacolo è sostenuta dal ritmo innaturalmente lento: i movimenti sono trattenuti, definiti con una perfetta pulizia del gesto. Sono immagini archetipiche che si muovono dalle radici della nostra cultura, dimostrano e non agiscono seguendo la linea retta del tempo in quanto sono fuori dal tempo, appartengono a un immaginario comune.

Caino è lo specchio del seme plasmato dentro ciascuno di noi: definizione del genere umano, la sua rappresentazione è apotropaica e, infine, catartica.
Il protagonista di questa opera intrisa di epicità non viene messo sull'altare del teatro per essere sacrificato da un giudizio morale aprioristico che, in questo contesto, sarebbe superficiale e ottuso. Caino ci si manifesta nell'umanissima e lacerante richiesta di amore: da parte del Divino, del fratello, degli uomini. Il vuoto incolmabile di una promessa d'amore disattesa e la rabbia nei confronti del fratello Abele, simbolo di perfezione nella permanenza entro la legge e l'amore, trasformano Caino in essere intriso d'odio. Istigato dall'Illusionista a diventare il primo, il migliore, a sopraffare gli uomini, Caino commuove nella finale ammissione di mancanza: «Abele in parte è qui e in parte manca».
La forza catartica di questo spettacolo è nella redenzione finale, nella fiducia nei confronti dell'Uomo: nelle parole che l'Alato rivolge a Caino con la voce della Gualtieri sono enunciate le opere magnifiche che l'Uomo sarà in grado di produrre, sono evocate le alte vette dell'arte e della scienza. Su Caino si plasma la promessa del Divino: «Tu sei venuto per conoscere tutto! / Tu sei venuto per amare tutto! / [...] Buon viaggio. Buona cima. Buon cammino / terrestre. Comincia qui l'umano. / Non temere. Cominci qui. Sei il primo / di una infinità. Come ognuno che verrà, porti la promessa / e porti il peso di tutti. Da te viene / l'umanità. Farà opere immense».

Una speranza liberatoria, una nuova dignità al nostro essere uomini in un mondo fratricida.
Caino è uno spettacolo che cambia chi vi partecipa, proprio come accade durante un rito.
visto al Palazzo del Ghiaccio di Milano il 21.V.2011

CAINO
regia, luci e scene Cesare Ronconi
testo Mariangela Gualtieri
con Danio Manfredini, Raffaella Giordano, Mariangela Gualtieri, Leonardo Delogu
e con Susanna Dimitri, Giacomo Garaffoni, Sara Leghissa, Isabella Macchi, Silvia Mai, Daria Menichetti, Mila Vanzini
musica dal vivo: percussioni Enrico Malatesta, elettronica Alice Berni
fonica e ricerca del suono Luca Fusconi

L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI HILDA

Al Teatro i di Milano va in scena un nuovo gioco in scatola: si chiama Hilda, giocano un servo e un padrone, in palio il potere.


«Voglio una cameriera che non se ne vada». In questa sbadata affermazione sono racchiuse le intenzioni della biondissima e aristocratica protagonista di Hilda, testo di Marie NDiaye messo in scena da Renzo Martinelli nell’ambito di Face à face – Parole di Francia per scene d’Italia, rassegna che sta aprendo una necessaria finestra di dialogo sulla drammaturgia contemporanea francese.

La signora Lemarchand, ricca e annoiata, sceglie Hilda come sua nuova cameriera, concordando con suo marito Franck condizioni di lavoro e pagamento. Hilda si rivela essere una donna di servizio perfetta, virtù non sufficiente a soddisfare la padrona. La signora, infatti, non vuole solo il lavoro di Hilda: vuole anche la sua amicizia. Inizia così a succhiarne la personalità fino a svuotarla, nel tentativo maldestro ma tirannico di assomigliarle sempre di più, di sostituirsi a lei quale oggetto di attenzioni e amore da parte della famiglia. «E’ amata da lei, da me e i suoi figli sentono la sua mancanza. Io non ho niente di tutto questo»: la signora Lemarchand rivela l’assenza di affetto nella propria vita e tradisce il desiderio di imitare Hilda.

Il testo affonda il bisturi nei giochi di potere tra i personaggi: nell’eco delle Serve di Genet, Hilda rinnova e reinventa lo schema del rapporto tra servo e padrone, definendo la classe sociale dei personaggi attraverso la parola. La signora Lemarchand è la logorroica padrona della scena: è lei che definisce il tema e il ritmo delle scene. I monosillabi di Franck sono complementari alla frastornante verbosità della donna, ma mentre lei tradisce la propria fragilità emotiva, lui è solido e testardo nell’indifferenza ai suoi tentativi di fascinazione. «Senza i miei soldi non avrei potere su di lei»: solamente la sua ricchezza le consente di avere un ascendente, inesorabile ma sgradito, su Franck.
La protagonista, Hilda, non compare mai: nell’assenza, che ne definisce la personalità, prende forma una donna inizialmente solare e determinata, che viene progressivamente defraudata della propria vita, della propria libertà, della propria personalità.

L’interpretazione registica di Renzo Martinelli valorizza il testo facendo emergere l’universo sommerso di tutti i personaggi, da cui partono molteplici linee relazionali che semplificare nella dinamica servo-padrone è riduttivo. Il rapporto tra Franck e la padrona è complesso: investe anche la sfera sessuale ed esprime il desiderio di possesso (si contendono Hilda come se fosse un oggetto).  Ecco perché Hilda è uno spettacolo che parla del Potere e di come esso penetri nella società e nelle persone disumanizzandole.
La messinscena incarna l’aspirazione formale a una rappresentazione stilizzata dello spazio e degli oggetti: l’esuberanza creativa di simboli e astrazioni nell’ultima parte sembra eccedere in tecnicismi meccanici (l’utilizzo dei microfoni) e prossemici (la continua variazione delle distanze e del grado di contatto tra i personaggi).

In questo testo, basato sulla parola, è fondamentale l’interpretazione degli attori: Federica Fracassi si conferma attrice elegante, di classe e charme, capace di dare credibilità misurata a un personaggio alquanto stereotipato. Alberto Astorri costruisce il proprio ruolo sviluppando il linguaggio non verbale dei gesti e del rapporto con gli oggetti. Per nulla secondario il ruolo di Francesca Garolla, serva di scena in stile punk: nei cambi di scena, da lei effettuati al ritmo dei successi della canzone italiana, risuona l’eco dell’invisibile protagonista.

La storia di Hilda offre lo spunto per una riflessione sul ruolo della donna contemporanea: abbandonata dal marito e dalla padrona proprio quando perde la propria identità, Hilda ci esorta ad essere padrone della nostra personalità.
visto al Teatro i il 19.V.2011
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In scena fino al 12 giugno
Hilda
di Marie NDiaye
regia Renzo Martinelli
con Federica Fracassi, Alberto Astorri e Francesca Garolla
produzione Teatro i, in collaborazione con Face à face – Parole di Francia per scene d’Italia, Centre Culturel Francais de Milan
gli abiti indossati da Federica Fracassi sono Malìparmi
(durata dello spettacolo 1 ora e 40 minuti)


lunedì 23 maggio 2011

VINICIO CAPOSSELA TRA MARINAI PROFETI E BALENE - OVVERO: UNA RECENSIONE TEATRALE

Quante volte quando leggo di cantanti che fanno i concerti nei teatri penso: "Ridate i teatri agli attori!", rivendicando la pertinenza di questo luogo (sacro, certo, trattandosi il teatro di rito) a coloro che sono stati designati a esserne i sacerdoti, ovvero gli attori. 
Il caso del concerto a cui ho partecipato stasera è diverso: sul palco un sacerdote della Parola, Vinicio Capossela, che per presentare il suo ultimo album ha scelto i maggiori teatri d'opera italiani. Ai milanesi è toccato gli Arcimboldi, teatrone che nell'era post-sostituto-della-Scala è diventato un contenitore indifferenziato. 


«Marinai, profeti e balene» è un opera enciclopedica che volge la chiglia al passato per risalire la corrente fino alle radici della nostra cultura. Nel corso delle diciannove canzoni che compongono il doppio album (che Vinicio definisce un «oceano di carta») si incontrano creature marine di ogni sorta, mitologiche e ancestrali, e personaggi del mito della classicità nonché delle nostre radici religiose; i riferimenti letterari maggiori sono archetipi quali Omero, Dante, Melville, Conrad.
Il suo concerto è uno spettacolo teatrale a tutti gli effetti: la scenografia nasce da un'idea molto semplice (riprodurre il ventre di una balena e dare l'idea del viaggio per mare) e si propone al pubblico in maniera stilizzata ma completa, facendo ricorso a dei simboli - sufficienti per suggerire ambientazioni, luoghi, persino stati d'animo (con il movimento delle costole della balena). Le luci, di conseguenza, sono molto curate e dense di suggestioni.
Trasmettere un'ideale di semplicità (sinonimo di immediatezza) celando la complessità della progettazione è un risultato ambito e difficilmente raggiunto. Vinicio lo fa con una naturalezza disarmante.
Il concerto è teatro per la costruzione drammaturgica: la musica si alterna con parti recitate complementari, e con movimenti scenici del coro (che evidentemente è riduttivo considerarlo solamente coro musicale).


Quanto detto finora caratterizza la cantautorialità di Vinicio.
Questo ultimo momento creativo ha smosso una riflessione che vuole andare oltre i soli aspetti formali. Vinicio rilegge le nostre radici culturali in maniera più lucida e illuminante di quanto non facciano la letteratura e la drammaturgia contemporanee. Si confronta con i medesimi archetipi mitologici, si pone le stesse domande cui il teatro cerca di dare risposte da quattromila anni. Riesce ad arrivare più in profondità, adattando i classici alla nostra contemporaneità e mostrando che sono ancora pieni di senso. Al di là della maggiore immediatezza del linguaggio musicale rispetto a quello verbale (su cui, in realtà, bisognerebbe puntualizzare perché non è per nulla scontato) sentiamo che c'è più attinenza nel suo modo di rivisitare i miti di quanto non faccia il teatro.
Forse questo accade in virtù della statura artistica di questo artista poliedrico, ma varrebbe la pena capire come mai sia più vicino al teatro come rito un concerto che non il teatro propriamente detto.


Per questo Vinicio è un sacerdote più degno di tanti teatranti che usurpano il luogo che dovrebbe essere destinato a riunire la collettività per riflettere sul presente, per dare delle risposte insinuando delle domande.