lunedì 28 febbraio 2011

IL SENSO DI TARANTINO PER IL TEATRO: IL DEBUTTO DEL DRAMMATURGO IN "TRITTICO"

Oreste Valente nei panni del clown-servo di scena
Il clown che accoglie, immobile, il pubblico nel foyer è lo stesso che presenta con una certa maniera americana l'autore di questo trittico, nonché splendido interprete debuttante a settantatré anni: Mister Antonio Tarantino.
L'amabile persona che si presenta sul palco per spiegare le motivazioni di questo debutto e quello che ha imparato da questa esperienza (a stare più attento a quello che scrive perché gli attori devono poi impararlo a memoria) conquista fin dall'espressione degli occhi vivaci, dall'accento espressivo e sempre con una vena ironica, dalla parlata spontanea e genuina. La sua intelligenza e la sua lucidità nel fotografare il contemporaneo accompagnano il suo stare in scena. Lui si diverte, noi ridiamo.
Ridiamo, anche se va in scena la miseria, povertà economica e relazioni drammatiche: Roma-Bacau ha come protagonisti un anziano ex-operaio e una giovane romena costretta a chiedere l'elemosina. Tra vari tentativi dell'uomo di sfruttamento ai danni della ragazza i due si ritrovano a condividere lo stesso destino di isolamento per scoprire di dipendere l'uno dall'altra come fossero marito e moglie. 
L'ironia che Tarantino riesce a esprimere pur nella rappresentazione della disperazione senza orizzonte di speranza è un regalo a questi nostri tempi bui, una gioiosità contagiosa che si emana dall'intelligenza del drammaturgo. 
Il secondo atto breve, Medea, vede in scena una donna assassina dei propri figli e vittima del tradimento del marito. Figura femminile che si riferisce chiaramente alla Medea del mito, ritrova il suo Giasone ormai vecchio e consumato, e decide di perdonare il passato di dolore: se "Dio non c'è per nessuno", i rapporti umani invece restano, sopravvivono alle macerie di una vita frantumata per continuare a essere una consolazione e una speranza. Intensa l'interpretazione di Gilda Postiglione, figura femminile lacerata ma che mantiene la forza coriacea dei sopravvissuti.
Il Trittico termina con Telesogni e l'intervista condotta da un improbabile quanto realistico presentatore tv (un Oreste Valente in parte, dopo aver vestito i panni del clown) che rivela i meccanismi della manipolazione mediatica per poi darne prova concreta intervistando un anziano torinese che vive in una squallida soffitta di un palazzo invaso dagli extracomunitari. L'uomo si fa portavoce dei più ottusi pregiudizi nei confronti degli stranieri, dimostrando la sua ignoranza nell'uso improprio del termine "razzista". Il finale è tutto in positivo: una nuova vita nasce e di fronte al futuro che si fa carne anche il cuore più duro si commuove.

Mettersi in gioco a settantatré anni è un atto d'amore nei confronti di quel teatro per cui è stato autore di testi memorabili (da Stabat Mater, con cui ha esordito, a Casa di Ramallah) ed è un gioco serio e leale nei confronti del pubblico: la vitalità, l'ironia, la positività del drammaturgo fanno capire che il suo non è un vezzo senile, ma una reale necessità comunicativa. La sua generosità dimostra come sia un artista che ha ancora molto da dare al teatro. Colpisce la sua lucida capacità di fotografare il contemporaneo, e la sua conoscenza profonda del testo fanno emergere, nella sua intepretazione, aspetti sottili che altrimenti rimarrebbero in ombra.
Con Gilda Postiglione e Oreste Valente forma un trio affiatato che fa da spalla alla regia vivace e fantasiosa di Cristina Pezzoli, in una scena dominata da tre grandi cornici che definiscono l'ambientazione, suggeriscono stati d'animo, fungono da scenografia. Danno un valore aggiunto alla parte registica le luci (suggestivi i tagli) e le musiche trascinanti di Roy Paci.
Speriamo di vederlo ancora in tante altre piazze: questo spettacolo è prezioso ed è un regalo al teatro che tutti meritano di poter vedere.
visto al Teatro Out Off il 27.II.2011

TRITICO
di Antonio Tarantino
con Antonio Tarantino, Gilda Postiglione e Oreste Valente
regia di Cristina Pezzoli
  

domenica 27 febbraio 2011

IL CRIMINE, TRA INCONSAPEVOLEZZA E STRUMENTALIZZAZIONE


Come si compone un crimine, ovvero: come si costruisce uno spettacolo. Quindi, il crimine spettacolarizzato.
Il duo di performer Fagarazzi&Zuffellato sceglie dieci spettatori tra i presenti in attesa che lo spettacolo inizi, seduti intorno ai tavolini nel bianchissimo e contemporaneo spazio dell'Area Pergolesi. Vengono bendati, poi mascherati con teste di animali, infine fatti agire nello spazio contiguo a dove si trova il pubblico: loro, ignari attori del crimine, il pubblico, consapevole voyeur, in uno spazio che non consente una visibilità chiara e che dunque omette particolari e moltiplica interpretazioni equivoche. Le azioni degli "attori", pilotate dai due performer dei ex machina, vengono filmate da un operatore: siamo all'interno della regia del crimine, che viene scomposto per poi essere riassemblato con scritte in sovraimpressione e musiche, e infine proiettato di fronte al pubblico. Le immagini assumono un significato che è costruito, pilotato: è la strumentalizzazione dell’immagine, la creazione del crimine da gesti che ne sono estranei. 
Molto contemporaneo e attuale. Pedofilia, omicidio, incidenti stradali: si moltiplicano i crimini che vediamo (o crediamo di vedere) intorno a noi, nel vicino di casa o nei servizi che mostrano i telegiornali e la televisione. Una volta ci poteva essere il riferimento d'autore alla Finestra sul cortile. Ora, nella banalizzazione contemporanea, non ci rimane che il pubblico televisivo, il cui occhio critico è pilotato da registi invisibili ma che si conoscono benissimo. La forza dell'immagine è nota e da sempre sfruttata: in questo momento di medioevo culturale italiano siamo vittime e autori della sua strumentalizzazione: la subiamo passivamente (come solo la televisione può essere subdola), ne potremmo essere oggetto inconsapevole; ma ne siamo anche autori, nel momento in cui decidiamo di credere al messaggio che si costruisce attraverso la strumentalizzazione. Senza perdere la consapevolezza che un giorno potrebbe toccare anche a noi di essere attori inconsapevoli di un crimine a cui non abbiamo partecipato. In questa performance tutti sono protagonisti di quello che accade: il punto di vista dipende da quale ruolo si assume, in un continuo scambio a cui fa riferimento il titolo stesso, scrittura speculare della parola crimine.
Variazione originale sul tema, affrontato da gruppi di innovazione e spettacoli più vicini alla tradizione, del potere mediatico dell'immagine, questa coppia di artisti aggiunge il coinvolgimento attivo degli spettatori e il ribaltamento dei ruoli e crea una nicchia personale nella moltiplicazione dei linguaggi che la scena attuale offre.
visto all'Area Pergolesi il 26.II.2011

ENIMIRC
idea, creazione e direzione di Andrea Fagarazzi e I-Chen Zuffellato

venerdì 25 febbraio 2011

LE PERVERSIONI DELLA FAMIGLIA NEL CIRCO DELL'ESISTENZA


La famiglia contemporanea è senza scampo: il primo e fondamentale nucleo sociale, e ambiente di sviluppo dell'individio, viene indagato nei suoi meccanismi interni per scoprire che non ha possibilità di evoluzione positiva.
Gaddo Bagnoli, fondatore e direttore artistico della compagnia Scimmmie Nude (nata nel 2003), ha dato vita a una Trilogia sull'Uomo, che si compone di tre spettacoli autonomi che sviluppano tematiche inerenti a tre diversi aspetti della vita: Pauraedesiderio, Macchine e quest'ultimo, Perversioni. Intese non tanto e non solamente come perversioni sessuali: questo primo e più immediato orizzonte di significato viene disatteso dalla ricchezza tematica della drammaturgia (autore del testo lo stesso Bagnoli). Si riferisce, piuttosto, al senso etimologico di rovesciare l'ordine, volgere il bene in male: infatti è nella famiglia - che dovrebbe essere luogo di protezione, amore assoluto (cioè 'slegato' da qualsiasi altro scopo se non il bene dell'altro), educazione, sviluppo - che si coltivano violenze fisiche e psicologiche, ideologie distruttive, comportamenti mostruosi.
Lo spettacolo è giocato sul tessuto di ipocrisia dei personaggi, esplicitato scenicamente nell'ambientazione che ricorda il circo e che si rifà alla pirandelliana sovrapposizione vita-palcoscenico; e drammaturgicamente nelle scene corali in cui tutti i personaggi sfoggiano di fronte al pubblico sorrisi e armonie che sono soltanto la facciata che nasconde le torbide relazioni tra i personaggi. Fratello e sorella, genitori e figli, marito e moglie,  zio e nipote: relazioni che costituiscono il terreno fertile in cui ciascuno coltiva le proprie perversioni. Che, come sostiene Bagnoli, dovrebbero essere "uno dei mezzi creativi essenziali che l'Uomo utilizza allo scopo di indagare circa il suo 'essere' e il suo 'fare'". E che invece diventano strumento di sopraffazione, ma anche di auto-punizione: vittime e al tempo stesso carnefici, predatori ma anche prede. Tutti alla ricerca della propria identità da affermare sull'altro per avere un ruolo in questa società: i rapporti altro non sono se non un gioco di ruoli (il padre-padrone, lo zio viscido, la donna-madre dalla sessualità frustrata, il fratello che deve essere più forte della sorella). "Mancanza di identità, mancanza di esistenza", viene ripetuto nello spettacolo.
La compagnia, dal debutto di questa trilogia nel 2008, ha intrapreso un percorso stilistico basato sull'assenza di naturalezza dell'espressione, sull'abbandono dello psicologismo su cui si basa gran parte del teatro occidentale. Scelta efficace: il distacco, anziché il coinvolgimento emotivo, può attivare la coscienza critica nello spettatore, ed è l'unico scopo a cui deve tendere il teatro che affronta queste tematiche. Con un occhio alla crudeltà di Artaud e uno al teatro epico di Brecht. Non possiamo non accennare al recente Canicani di Stefano De Luca: con modalità e stili differenti entrambi i registi sono andati nella direzione della non naturalezza della comunicazione. Evidentemente c'è un bisogno forte di scuotere il senso critico dello spettatore di fronte alla quotidianità contemporanea, la famiglia, in cui i figli sono sempre vittime di genitori frustrati, troppo occupati ad affermare se stessi o troppo impegnati a imporsi con l'autorità dei dittatori. Negli ultimi anni è cambiato il significato del delitto in famiglia: non siamo più di fronte alla Gente tranquilla che cantavano i Subsonica dieci anni fa in riferimento alle stragi compiute in famiglia. Il dramma non è più solo il sangue della strage, ma è una violenza quotidiana, che si consuma tra le pareti domestiche senza rendersi visibile all'esterno e per questo ancora più infido e senza via d'uscita.
Lo spettacolo ha una propria identità stilistica, sicuramente da maturare e perfezionare, ma basata su elementi che rendono la rappresentazione di immediata comunicatività al pubblico: gli oggetti (e anche i costumi) diventano simboli nel gioco del teatro (il tavolo diventa podio per il padre-dittatore, specchio, tavola, letto, scivolo; la sciarpa è usata come benda e come fune che incatena); la musica accompagna le scene completandone il significato;  i movimenti scenici rimandano con chiarezza ai significati.
Le Scimmie Nude si mantengono estranee da provocazioni troppo facili, scontate e banali. Nessun prevedibile accenno all'attualità nella rappresentazione delle attenzioni morbose dello zio nei confronti della nipotina, nessuna gratuità nella rappresentazione delle perversioni. Per fortuna siamo di fronte a un gruppo che ha una reale urgenza di ricerca nell'intimo dell'Uomo, e che conduce questa ricerca con rigore e senza sconti, mettendo in scena tanto materiale che richiede un lavoro di ulteriore approfondimento (mai come in questo caso la compiutezza del risultato sarebbe sterile) per spogliarsi in maniera decisa dai residui di psicologismo che indeboliscono la drammaturgia, e per entrare in maniera ancora più decisa nella carne viva dei temi che indagano. Per essere ancora più crudeli.
visto al Teatro della Contraddizione il 24.II.2011

in scena al Teatro della Contraddizione fino a domenica 6 marzo.
PERVERSIONI 
uno spettacolo di Gaddo Bagnoli
con Claudia Franceschetti, Igor Loddo, Andrea Magnelli, Marco Olivieri, Laura Rinaldi
musiche di Sebastiano Bon e Francesco Canavese
con la collaborazione di Ian Magilton e del Roy Hart Theatre

mercoledì 23 febbraio 2011

EMMA DANTE AL CRT: UNA "TRILOGIA" INCOMPIUTA

Sembra proprio essere l'annata delle trilogie e dei trittici. Oltre alla più popolare - La trilogia della villeggiatura con l'acclamatissimo Toni Servillo - si sono susseguiti la trilogia sulla famiglia firmata da Aquilino per la regia di Stefano De Luca (che al Teatro Binario 7 di Monza ha presentato Mamma mammazza, Verginella e infine, in prima nazionale, Canicani), la trilogia di indagine sull'Uomo realizzata dalla compagnia Scimmie Nude (di cui debutterà il 24 febbraio al Teatro della Contraddizione il capitolo conclusivo, Perversioni, di cui parleremo nei prossimi giorni); avremo modo di assistere al Trittico di Tarantino, che ha debuttato ieri sera al Teatro Out Off e resterà in scena fino a domenica, e abbiamo assistito all'attesissima Trilogia degli occhiali di Emma Dante, in scena al Teatro Crt fino al 6 marzo.

Grande attesa per uno spettacolo presentato con molti onori (quelli che sono sempre mancati alla regista, spesso contestata, ma che ultimamente, diciamo da quando ha diretto il debutto della stagione della Scala lo scorso anno, si sono decisamente rarefatti). La trilogia si compone di tre atti brevi indipendenti (Acquasanta, Il castello della Zisa, Ballarini), ma percorsi da un fil rouge che li accomuna: è il tema della marginalità a essere indagato attraverso tre storie differenti, tre personaggi appartenenti a tre condizioni diverse. Povertà, malattia, vecchiaia. Il mozzo Spicchiato che dalla terraferma su cui è stato abbandonato sogna il mare (amore e senso della sua vita); il ragazzo catatonico Nicola, accudito da due suorine che squittiscono in una frenesia di gesti e battibecchi; una vecchia coppia di ballerini che ripercorre la propria vita a ritroso sotto il firmamento illuminato, prima del triste ritorno a un presente di solitudine vedovale. 

Tutti indossano gli occhiali, che dovrebbero essere l'elemento accomunante e che invece è assolutamente marginale - come ammesso dalla stessa Emma Dante, che proprio perché sono irrilevanti li ha messi nel titolo. Solo nel primo capitolo hanno un valore anche drammaturgico, quello di caratterizzare i diversi personaggi interpretati dall'eclettico e travolgente Carmine Maringola, la cui interpretazione è così coinvolgente da far dimenticare le perplessità sullo spettacolo. Poche parole, tanta musica (popolare, trascinante), una gestualità esasperata che sembra sopperire alla povertà drammaturgica. Nel secondo capitolo le parole sono più rare (esplodono dalla bocca di Nicola, che con trasporto infantile e commovente si immagina di avere davanti il castello della Zisa), per scomparire del tutto nell'ultimo. L'impressione generale è che si tratti di un lavoro incompiuto, di una fase di transizione verso una forma scenica ancora da trovare. Non immaginiamo dove possa condurre questa ricerca: a un arricchimento della parola attraverso elementi più istintivi come la gestualità emotiva e la musica? Oppure al silenzio totale, affidando la drammaturgia esclusivamente a elementi visivi e sonori? Intanto che Emma Dante cerca, noi rimaniamo perplessi.
Visivamente il terzo capitolo è lirico e intenso: i tagli delle luci, i due bauli speculari ma opposti, le luci sospese a creare il firmamento rendono ancora più poetica la rappresentazione dei due vecchi, tra ricordi di gioventù e pruriti sessuali mai sopiti. Non citeremo il Classico di turno (Beckett, in questo caso), come fa ormai molta critica, che in mancanza di altri termini di paragone mette in mezzo un Classico del Novecento (che tanto non si sbaglia mai). Classici che la stessa regista dice di non avere preso a modello. Altro è il punto di partenza del suo teatro, alla continua ricerca di condurre un'indagine intima sull'Uomo attraverso elementi che ritornano costanti (come la presenza del dialetto, che rende più autentica l'espressione - ma che a volte sembra compiacere un po' troppo il gusto del pubblico, come nel caso del napoletano strettissimo di Spicchiato).
Un lavoro cui manca ancora un'identità. Non chiamiamolo studio, però: lo studio è un genere di rappresentazione a cui non si può ricorrere per definire uno spettacolo ogni volta che il lavoro non è riuscito completamente. Ad ogni modo la regista sta continuando a lavorare con gli attori per perfezionare questa Trilogia.
Per un teatro così viscerale, così fisico, così primordiale come il suo stupisce come sia possibile apprezzarlo più intellettualmente che non emotivamente.
visto al Crt il 16.II.2011
TRILOGIA DEGLI OCCHIALI
di Emma Dante
regia di Emma Dante
con Carmine Maringola (Spicchiato), Onofrio Zummo (Nicola), Stéphanie Taillandier Claudia Benassi (le suore), Sabino Civilleri e Elena Borgogni (i vecchi)

martedì 22 febbraio 2011

DALL'ESPLOSIONE DELLA TV EMERGONO I PROTAGONISTI DELLA TRASMISSIONE "COSI' E' (SE VI PARE)"


Un tubo catodico che esplode e un gioco televisivo che ha inizio davanti al pubblico come se ci trovassimo in uno studio televisivo. La signora Agazzi, madre di Dino, moglie del Consigliere Agazzi, amica dei Signori Sirelli che sono amici della signora Cini: sono loro i partecipanti al gioco che si chiama Così è (se vi pare). Scopo dei protagonisti: scoprire quali relazioni legano e quali misteri nascondono tre strani personaggi tutti di nero vestiti venuti ad abitare da poco nel paese in cui tutti osservano, tutti mormorano, tutti giudicano (voyerismo morboso e pettegolo che oggi si è tradotto nell'intrusione in ogni fatto privato, ridotto a momento di spettacolo). L'andamento delle vicende è scandito dalle visite che a turno fanno la signora Frola e il signor Ponza, suo genero: il gioco sta nell'indovinare chi dei due sia pazzo. E quando alla fine entra in scena la fantomatica signora Ponza, che si pensa chiarirà tutti i dubbi portando l'incontrovertibile verità, i fatti non vengono spiegati affatto. Pirandello ha volutamente lasciato il finale senza soluzione, insinuando nello spettatore un dubbio che non viene risolto. In quasi un secolo di rappresentazioni (lo spettacolo debuttò nel 1917) sono state date molte interpretazioni del ruolo dei tre personaggi: Alessandro Averone, giovane regista di questa produzione del Teatro Due di Parma, e già apprezzato attore (citiamo I Demoni di Peter Stein dove ha interpretato il meschino Piotr), chiude svelando che si tratta di una burla (idea di castriana memoria) che i tre mettono in atto nei confronti dei borghesi, rappresentati in tutta la loro mediocrità anche attraverso una recitazione volutamente caricata (ma senza arrivare agli eccessi della caricatura).
"Se un'opera d'arte sopravvive è solo perché noi possiamo ancora rimuoverla dalla fissità della sua forma" (Pirandello). Capita raramente di assistere a operazioni intelligenti sui classici: spesso materiale per registi che non sanno parlare con la propria voce e usano quella di autori ben più geniali di loro, i classici vengono tagliati, riscritti, traditi, stravolti. Averone ci ha stupiti mantenendo il rigore filologico del testo e dimostrando come si possano rendere moderne parole scritte un secolo fa attraverso l'interpretazione e l'intenzione degli attori. Due ore senza intervallo che scorrono in maniera divertente (comicamente riuscite le musiche ispirate ai jingle televisivi), appassionante, intrigante. Grazie al ritmo senza nessun calo il testo viene esaltato nella perfezione dei suoi meccanismi drammatici.
Molto più spostato sul poliziesco che sul noir, forse manca un po' l'atmosfera misteriosa che percorre, sotterranea, tutto il testo.
Ci ha delusi, invece, la resa del personaggio della signora Ponza: si perde, scivola, non si staglia imponente e ieratica come vorrebbero il suo ruolo ambiguo e sibillino.
Nonostante qualche discontinuità nell'approfondimento del testo (il monologo di Laudisi allo specchio rimane superficiale, e alle parole del signor Ponza manca la forza brutale e bestiale propria del personaggio descritto da Pirandello) lo spettacolo ha delle trovate registiche efficaci: della scena abbiamo già parlato; i personaggi sono caratterizzati con precisione e coerenza. In particolare la resa di Laudisi non vedente è il paradosso dell'unico personaggio a comprendere la realtà (a lui, il raisonneur, sono affidate le riflessioni filosofiche sulla definizione di "verità"). Comici  (semplicemente con la postura e la gestualità) il personaggio di Dino (unico "tradimento" rispetto all'originale Dina) e quello della signora Cini; emerge la comicità grottesca anche in molti scambi di battute tra i personaggi (soprattutto tra i Signori Sirelli).
visto al Teatro Due di Parma il 20.II.2011

Guarda la video intervista con i personaggi


COSI' E' (SE VI PARE)
di Luigi Pirandello
regia di Alessandro Averone


Lamberto Laudisi - Paolo Serra
La Signora Frola - Tania Rocchetta
Il Signor Ponza - Rosario Lisma
La Signora Ponza - Paola De Crescenzo
Il Consigliere Agazzi - Paolo Bocelli
La Signora Agazzi - Laura Cleri
Dino - Luca Nucera
La Signora Sirelli - Francesca Porrini
Il Signor Sirelli - Massimiliano Sbarsi
Preferro - Nanni Tormen/Sergio Filippa
La Signora Cini - Cristina Cattelani


domenica 20 febbraio 2011

LA MATTANZA DELLA FAMIGLIA CONTEMPORANEA TRA VIOLENZA E SOGNI DI SUCCESSO

Un padre violento e ottuso che non si alza mai dalla poltrona e che ha un vocabolario limitato a insulti e improperi. Una madre con smanie di protagonismo e ambizioni di successo. Entrambi soggiogati e vittime dell'immaginario televisivo che inghiotte la realtà in un grande vuoto. Uno zio in arrivo dagli anni Settanta per il look, dalla cronaca contemporanea per l'incesto (con la sorella): viscido e succube del dio danaro. Un ristoratore-macellaio mellifluo e orribile, che dalla famigliola si rifornisce di organi e carne da servire ai clienti come prelibatezze. Poi ci sono loro, i canicani, i figli vittime della violenza domestica, della violenza della società. Allevati come carne da macello, pronti a essere sostituiti da nuovi bambini. Uno spaccia, l'altra si prostituisce, al terzo levano gli organi perché è l'unico ad averli sani, ma muore; sta per essere sostituito da un feto figlio di un incesto, frutto della violenza del padre sulla figlia. Nel finale sospeso tra riscatto e rassegnazione sarà proprio la voce del bambino in grembo alla ragazza a sconfiggere la violenza degli adulti e a lasciare aperta la speranza di un futuro di integrazione e normalità.
Tematiche sconvolgenti, quelle scritte dal drammaturgo Aquilino e messe in scena dal regista Stefano De Luca, che con la sua compagnia Lupusagnus ha realizzato una trilogia della famiglia intorno ai temi della violenza domestica: Mamma mammazza racconta di una madre che uccide il figlio, Verginella di un abuso, Canicani è l'ultimo capitolo.
Temi così forti da richiedere un distacco brechtiano e catartico dalla materia. Motivo per cui il regista ha operato una scelta stilistica spiazzante: rappresentare il testo in forma di musical. Operazione pienamente riuscita: il distacco è funzionale, l'atmosfera surreale e i personaggi grotteschi aiutano a prendere coscienza che la violenza che viene rappresentata in scena ha un'attinenza alla realtà e al contemporaneo molto più stretta di quanto si sarebbe potuto percepire attraverso il coinvolgimento emotivo.
Lode agli attori, tutti bravissimi, alcuni travolgenti: Annamaria Rossano (che dà una voce perfetta e una presenza scenica carismatica alla madre) e Tommaso Banfi (lo zio, originale e vagamente pulp). La formazione accademica si vede, e fa la differenza.
Il contrasto tra materia tragica e forma comica perde di efficacia nel finale: il lirismo delle figure dei canicani non si incastra bene con le figure grottesche degli adulti. Inoltre l'intervento della voce del feto è sembrata personalmente un passo di troppo in direzione del surreale.
Qualche ridondanza nel testo e nella resa del personaggio del padre non tolgono valore al lavoro di De Luca, coraggioso indagatore dell'orrore domestico. Indagine condotta con serietà, senza compiacimenti né retorica, ma soprattutto con tanta sincerità e impegno nell'assumere il compito che ogni teatrante dovrebbe avere come ideale: comunicare al pubblico, scuotendo le coscienze e proponendo delle chiavi di lettura del presente, dando degli strumenti che aiutino a comprendere meglio il mondo in cui viviamo. Non voglia di provocare, ma profondità dei contenuti.
La passione nelle parole usate da De Luca durante l'incontro a fine spettacolo ci hanno trasmesso la passione per un mestiere, l'affermazione della dignità del ruolo del teatro (essere un mezzo di redenzione dagli orrori della società), il rispetto per il pubblico; e per una volta abbiamo sentito la parola che più manca nel mondo teatrale: dialogo, in questo caso tra artisti e pubblico. 
Il pubblico ha risposto con partecipazione a questa richiesta di confronto durante il dibattito (preceduto dalla distribuzione di un questionario che presentava anche delle domande a risposta aperta) nessuno ha lasciato la sala, ma tutti hanno compilato il questionario e hanno seguito la discussione. Che, peraltro, non è stata affatto banale ma anzi accesa e costruttiva. 
Dobbiamo dire che questa sera il pubblico di provincia ha dato una lezione a quello milanese: partecipe e pronto a farsi provocare e a interrogarsi, mentre il pubblico milanese si sta annoiando in un atteggiamento di sufficienza, di estraneità, di chiusura. Difficilmente si riesce a sorprendere lo spettatore metropolitano, sempre più simile a un medico che esegue un'autopsia: si abitua a tutto, considera la materia che ha di fronte come oggetto di analisi clinica.
A fine spettacolo ci siamo trattenuti un'ora a parlarne tra amici e addetti ai lavori: anche questa una rarità e comunque sempre segno che c'è sostanza su cui lavorare!

visto al Teatro Binario 7 di Monza il 19.II.2011

Compagnia LupusAgnus
CANICANI
di Aquilino
regia Stefano De Luca
con Marta Comerio, Tommaso Banfi, Annamaria Rossano

domenica 13 febbraio 2011

LE MILLE FACCE DELLA LUNA-DONNA VISTE DA PINA BAUSCH

Tanztheater Wuppertal Pina Bausch
VOLLMOND
Parlo di un incontro (avvenuto troppo tardi): il mio con Pina Bausch. E intendo dire proprio con lei, non con "il suo teatro, la sua arte, il suo linguaggio". In scena lei continua a essere presente: la sua energia si riflette nell'arte dei suoi danzatori per dare vita a una comunicazione sincera, autentica - e per questo così intensa e partecipata dal pubblico. Essere presenti (e non diciamo assistere perché questo termine porta in sé un certo senso di passività che è concetto improprio in questo caso) a uno spettacolo di Pina Bausch è un'esperienza nel senso più letterale del termine: è un mezzo per acquisire la conoscenza di un "noi" inteso come individui e un "noi" inteso come genere umano. 
Pina Bausch parla di entrambi quei noi. In Vollmond sono messi sotto la lente di ingrandimento l'amore e i comportamenti che gli esseri umani mettono in atto nelle relazioni sentimentali: ne esce un meraviglioso (anche qui in senso letterale: ammirazione e stupore provocati da qualcosa di grandisioso, insolito, perfetto) ritratto dei nostri sentimenti, delle (non) regole dei rapporti uomo-donna. 
Come sempre nei suoi spettacoli, anche in questo l'elemento naturale domina la scena, ispira e rappresenta le tematiche, ma soprattutto rispecchia la vita stessa: l'acqua, elemento vitale per eccellenza, e la luna, simbolo del femmineo, dell'intimo, del volubile, del delicato. Della donna. 
Quello femminile è un universo che la Bausch ha sempre esplorato, indagato con occhio guidato dall'esplosione autentica dei sentimenti e non dalla razionale rappresentazione di presunti (e presuntuosi) assunti sociologici. Vollmond è un omaggio alla donna, ed è una bella coincidenza che le uniche repliche italiane siano coincise con il fermento intorno alla manifestazione di protesta per il degrado della figura e del ruolo della donna che si sta verificando in Italia. E' stata una piacevole sorpresa la presenza in sala di Nichi Vendola: anche se lo scopo poteva essere in parte la ricerca del consenso in una città alla vigilia delle elezioni, dobbiamo dire che almeno Vendola ha scelto con classe, cultura e sensibilità all'eccellenza artistica. Avvistata vicino a lui la Shammah (oltre alla coppia di bravi&belli Gifuni-Bergamasco): al momento giusto nel posto giusto, non si tratta di coincidenze e qualsiasi tentativo di critica somiglierebbe all'invidia. 

Dicevamo che Vollmond è un omaggio alla donna, ma non è privo di critiche e di drammaticità, ed è nella complessità e completezza di visione che diventa autentico, sincero. La donna esaltata nella sua femminilità, nella sua grazia, nella sua connessione con la natura. Ma anche la donna che subisce, che si sottomette, che accetta la violenza.
Drammaticità, poesia, ironia (tantissima, come la vita stessa richiede): è un costante dialogo con il pubblico che stringe la trama della comunicazione. Poche parole, tutte necessarie, e poi gesti, curati in ogni sfumatura. Persino gli abiti e i capelli splendidamente fluttuanti delle bellissime danzatrici trasmettono un'emozione. 
La rivoluzione e l'immortalità di Pina Bausch risiedono proprio nell'emozione del danzatore che trova un percorso per farla emergere e donarla a chi lo guarda.
Nei lavori della Bausch la natura è sempre presente, perché - come ha detto Dominique Mercy durante la conferenza stampa di presentazione dello spettacolo - "la natura è la vita". In Vollmond l'acqua non è semplicemente un elemento scenografico: acquista senso il rumore della pioggia, ora battente, ora lieve, se ne sfrutta la presenza con spruzzi, giochi, viene usata come fiume, piscina, lago. Viene esaltata la qualità visiva dei riflessi di luce, delle gocce d'argento (illuminate dalla luce lunare), della dinamicità delle chiome bagnate. 
La grandezza di questa artista sta anche nel disattendere le nostre aspettative: ci è sembrato che mancasse un finale in crescendo, e in effetti lo spettacolo vive diversi momenti di grande intensità, ma non di un gran finale corale. Forse le relazioni amorose hanno troppe sfaccettature, sono troppo volubili per assumere una forma definitiva. Forse l'accordo e la complicità tra i sessi è solo una faccia di quella luna che cambia sempre. 
Facciamoci provocare dalla Bausch: "meglio l'amore tutto in una volta o un tantino di amore ogni giono?".
Questa grande artista ha saputo interpretare e trasmettere la fragilità degli individui, il bisogno violento e graffiante di amore, di contatto, di unione. 
Tra le tante affermazioni trascurabili fatte durante la conferenza stampa, un concetto espresso da Escobar ci ha colpito: ci sono personaggi per i quali esiste un "prima" e un "dopo". Sicuramente dopo aver incontrato Pina Bausch non si può avere lo stesso concetto di teatro che si aveva prima.

visto al Piccolo Teatro Strehler il 13 febbraio 2011

lunedì 7 febbraio 2011

SPETTACOLI DA NON PERDERE - 1a/2011 febbraio

Selezione di spettacoli che vale la pena di vedere nelle prossime settimane. Prendetelo come un invito, un consiglio, un suggerimento...ma soprattutto come un augurio, perché il teatro è il regalo più bello che potete fare alla vostra anima e alla vosta coscienza!

"L'ADALGISA"
dove: Teatro Out Off
quando: fino al 13 febbraio
perché vederlo: per il testo di Gadda, la regia di Loris e l'interpretazione di Elena Callegari.

"LA COMPAGNIA DEGLI UOMINI"
dove: Piccolo Teatro Grassi
quando: fino al 26 febbraio
perché vederlo: per la regia di Ronconi; per l'autore Edward Bond, scomodo e poco rappresentato; per il cast d'eccellenza (Gianrico Tedeschi, Marco Foschi, Riccardo Bini, Giovanni Crippa, Paolo Pierobon, Carlo Valli).

"THE END"
dove: Teatro CRT
quando: dal 25 gennaio al 13 febbraio
perché vederlo: perché i Babilonia sono uno dei gruppi giovani di innovazione che si stanno affermando maggiormente mettendo in scena luoghi comuni e contraddizioni della nosta società.

"TI VOGLIO BENE PIU' DI DIO"
dove: Teatro Elfo Puccini
quando: dal 2 al 20 febbraio
perché vederlo: per il testo di Mimmo Sorrentino (sugli abusi sessuali sui minori commessi in ambito familiare).

"ART"
dove: Teatro Franco Parenti
quando: dall'8 al 20 febbraio
perché vederlo: per il cast (Alessio Boni, Alessandro Haber e Gigio Alberti); per il tema interessante (il significato dell'arte e la complessità dell'amicizia).

"VOLLMOND"
dove: Piccolo Teatro Strehler 
quando: dal 10 al 13 febbraio
perché vederlo: per Pina Bausch! Tutto esaurito, chi trova un biglietto trova un tesoro!

"THOM PAIN"
dove: Teatro Elfo Puccini
quando: dal 15 al 20 febbraio
perché vederlo: per Elio Germano.

"LA TEMPESTA"
dove: Teatro Elfo Puccini
quando: dal 15 febbraio al 6 marzo
perché vederlo: perché Shakespeare fa sempre bene!

"LA TRILOGIA DEGLI OCCHIALI" 
dove: Teatro CRT
quando: dal 15 al 27 febbraio
perché vederlo: per la regia di Emma Dante.

"AUMMA"
dove: Teatro Leonardo
quando: dal 15 al 27 febbraio
perché vederlo: per il testo di Gianfelice Facchetti.

"LA BAMBINA CON LA PELLICCIA"
dove: Spazio Tertulliano
quando: dal 17 al 20 febbraio
perché vederlo: per le due giovani registe e interpreti, Federica Bognetti ed Eleonora D'Urso; per il tema dell'anoressia.

"SEI GRADI"
dove: Teatro Pim Off
quando: 19 e 20 febbraio
perché vederlo: per conoscere il lavoro della compagnia di innovazione Santasangre.

"TRITTICO"
dove: Teatro Out Off
quando: dal 22 al 27 febbraio
perché vederlo: per il testo di Antonio Tarantino (qui anche interprete) e la regia di Cristina Pezzoli.

"UN FLAUTO MAGICO"
dove: Piccolo Teatro Strehler
quando: dal 22 febbraio al 19 marzo
perché vederlo: per la regia di Peter Brook.

"CRUEL + TENDER"
dove: Teatro Litta
quando: dal 25 febbraio al 20 marzo
perché vederlo: per la regia di Antonio Sixty.
                       
Queste segnalazioni verranno sicuramente integrate durante le prossime settimane, quindi non perdete di vista gli aggiornamenti di questo post, e se volete proponete degli spettacoli che non sono stati citati!

Buon teatro a tutti!

domenica 6 febbraio 2011

LETTERE A UN "DESTINATARIO SCONOSCIUTO": i confini fragili di un'amicizia che finisce

Associazione Otto&Marvuglia
DESTINATARIO SCONOSCIUTO
dall'omonimo romanzo di Katherine Kressmann Taylor
con Massimiliano Lotti e Marco Pagani
regia di Gabriele Calindri
 

Cosa rimane di un'amicizia quando viene messa in discussione nei suoi presupposti dai cambiamenti, dalle incomprensioni, dagli avvenimenti personali e dagli eventi storici. Della fine di un'amicizia narra lo scambio di lettere che costituisce il romanzo di Kathrine Taylor Kressmann portato in scena dalla compagnia Otto&Marvuglia. La fragilità dei rapporti umani è rappresentata dalla vicenda di Max e Martin, un americano e un tedesco, amici fraterni (compresa la condivisione dell'attività di mercanti d'arte e dell'affetto di una donna - sorella di Max ed amante di Martin) tra i quali si alza un muro qualche tempo dopo il ritorno di Martin in Germania.
Amicizia: il più nobile dei sentimenti, quello più sincero, il focolare in cui rifugiarsi per sentirsi al riparo, viene qui disattesa, delusa, tradita.
Questo è il destino di tanti rapporti che ci circondano, che ci riguardano, di cui siamo vittime o responsabili. Ma sul palcoscenico si racconta molto più che una storia di incomprensioni: si racconta di un ebreo americano, Max, e di un tedesco, Martin. Siamo nel 1932, Martin ritorna in patria e incontra fatalmente le teorie di un nuovo leader politico, di una nuova guida capace di trainare il Paese fuori da una crisi economica e di valori. Tra i due amici scende come una ghigliottina Hitler.
La scena, fatta da elementi molto semplici (un tavolo, alcuni quadri su cavalletti e soprattutto le lettere incorniciate sulla parete di fondo) ma investiti di significato dalla regia attenta di Gabriele Calindri (interessanti anche le luci e gli interventi musicali non abusati), diventa luogo in cui i due protagonisti si parlano senza incontrarsi: la struttura epistolare trova corrispondenza semantica nella condivisione di uno spazio fisico in cui non si specchia lo spazio intimo dei sentimenti reciproci. 
Fin dall'inizio i racconti che i due amici si scrivono a vicenda, racconti animati dall'allegria che sempre si ha nel fare riferimento a situazioni condivise, sono ombreggiati dall'insinuazione del dubbio, dall'incertezza che diventa presentimento di catastrofe. 
Se l'accento dello spettacolo è posto sul rapporto di amicizia prima ancora che sul dato storico, la vera catastrofe sta nel tradimento degli affeti, che - senza anticipare lo svolgimento della storia, che avrà una svolta inaspettata e sorprendente - porterà a eventi tragicamente mortali. 
Come tutti i grandi romanzi, le cui vicende si muovono in contesti storici turbinosi, anche questo è cesellato con eleganza sugli sviluppi politici che portano all'Olocausto. Non è denunciare quell'orrore lo scopo del testo. E' indagare l'animo umano di fronte alla crisi, al cambiamento, agli interrogativi che la situazione politica impone. E' mostrare le debolezze, le fragilità dei sentimenti e dei legami quando intervengono eventi eccezionali, che rivelano le contraddizioni e gli egoismi che rinnegano anche il passato più consolidato. 
Martin rinnega l'amicizia con l'ebreo Max, rinnega le teorie liberali, rinnega anche i dubbi che egli stesso provava nei confronti dell'ascesa di Hitler, un dittatore che interpreta le speranze, le necessità, l'esigenza del popolo tedesco di trovare una guida, un capo.
Come non leggere un monito preoccupante sulle eventualità verso cui questa nostra situazione di crisi può degenerare? Sono i grandi insegnamenti della storia, i cosiddetti corsi e ricorsi da cui pare che l'uomo non riesca mai a trarre insegnamento per migliorare.
visto al Teatro Verdi di Milano il 5.II.2011



Per info sulla compagnia: Otto&Marvuglia