domenica 29 maggio 2011

CHI E' DI SCENA! dal 30 maggio al 5 giugno

Spettacoli, incontri ed eventi da non perdere nella settimana teatrale dal 30 maggio al 5 giugno.

LUNEDI'30 MAGGIO
DATA UNICA
VERDILIZZANTE
testo e regia di Alfie Nze
Cosa succede se si scambiano rifiuti radioattivi per fertilizzanti? Il disastro è assicurato. 
Testo dell'autore nigeriano che denuncia l'utilizzo criminale dei Paesi del Terzo Mondo come discarica dei Paesi cosiddetti civilizzati.
Teatro Out Off 
Via Mac Mahon, 16 - tel. 02/34532140

MARTEDI' 31 MAGGIO
DEBUTTO
LA DISCESA DI ORFEO
di Tennessee Williams
uno studio di Elio De Capitani
Teatro Elfo Puccini - FINO AL 2 GIUGNO
Corso Buenos Aires, 33 - tel. 02/00660606

MERCOLEDI' 1 GIUGNO
DATA UNICA
LA FILA INDIANA - IL RAZZISMO E' UNA BRUTTA STORIA
di e con Ascanio Celestini
Autore impegnato e militante, Celestini crea uno spettacolo assemblando materiale differente con il consueto, necessario intento di scuotere le coscienze. 
Carroponte
Via Granelli, 1 - Sesto San Giovanni - tel. 02/36563958

VENERDI' 3 GIUGNO
DEBUTTO
IL LEGAME di August Strindberg
regia di John Alexander Petricich
Guerra tra i sessi e le difficoltà dei rapporti coniugali al centro del dramma, ancora attualissimo, dell'autore svedese.
Teatro Out Off - FINO AL 5 GIUGNO 
Via Mac Mahon, 16 - tel. 02/34532140

FINO AL 5 GIUGNO CONTINUANO LE REPLICHE DI...
HILDA
Teatro i 
Leggi la recensione su Persinsala

PRECARIE ETA'
di Maurizio Donadoni
regia di Cristina Pezzoli
con Maria Paiato e Patrizia Milani
Teatro San Babila - FINO AL 12 GIUGNO
IL PARADOSSO DEL POLIZIOTTO
Teatro Arsenale

Buon teatro a tutti!

sabato 28 maggio 2011

SCIMMIE NUDE: PROSEGUE IL LAVORO DI INDAGINE SULL'UOMO CON "I CENCI" DI ARTAUD

Il Teatro della Contraddizione si trasforma in agorà: in scena ci sono I Cenci, coraggioso spettacolo con cui le Scimmie Nude costringono il pubblico a svegliare le coscienze.

 
Gaddo Bagnoli, regista della Compagnia Scimmie Nude, si rivolge all’autore che ispira la sua poetica teatrale: Antonin Artaud, che nel 1935 anticipa il suo «Teatro della Crudeltà» con I Cenci, testo che segna l’abbandono del teatro “tradizionale”.

I Cenci è ambientato nel 1599 e trae spunto dalla storia vera della nobile famiglia romana dei Cenci. Protagonisti: il conte Cenci, satanico cultore del delitto (inteso sia come assassinio che, in senso esteso, come peccato); la moglie Lucrezia, impotente vittima delle torture del marito; la figlia Beatrice, calice in cui si riversa l’estrema violenza del conte, e che si trasfigurerà in Giustizia e Vendetta per uccidere il padre. Per questo delitto verrà condannata: allo spettatore è data facoltà di stabilire se a torto o a ragione.

La vicenda dei Cenci mostra una concreta efficacia paradigmatica: il conte incarna la volontà di distruggere la società partendo dal primo nucleo sociale, la famiglia. Le sue azioni di violenza crudele ed efferata raggiungono gli estremi eccessi della tragedia greca sul modello di Seneca, arrivando alla rappresentazione dell’incesto e del parricidio.

Gaddo Bagnoli ci consegna uno spettacolo per molti aspetti non finito – come ci si aspetta da un proficuo lavoro di ricerca. Sulla scena simbolica – una geometria di linee bianche che alludono alle forme della città ma anche a quelle del palazzo nobiliare – si amalgamano i professionisti della compagnia con gli allievi dell’Atélier Scimmie Nude: nato come momento conclusivo della formazione dei giovani allievi, I Cenci viene portato a livello di spettacolo in grado di sostenere il pubblico, e gli attori hanno la maturità per reggere un’ora e mezza serrata sui ritmi dettati dal lavoro intenso del regista sulla recitazione e sulla resa testuale.
La direzione della ricerca è quella consueta delle Scimmie Nude: spogliare la recitazione da qualsiasi residuo di psicologismo, e rendere il corpo e la voce degli interpreti strumenti per mostrare una vicenda esemplare.

Affrontare un testo poco rappresentato scomponendolo, come fanno le Scimmie Nude, è operazione coraggiosa e interessante per le prospettive interpretative che apre: tutti gli elementi sono investiti di simboli, dai colori dei costumi (nero di morte per il conte, bianco senza colpa per Lucrezia, rosso di passione e sangue per Beatrice) all’utilizzo del coro (libera ed efficace interpretazione del testo originale). E’ un coro che accompagna, circonda, giudica, scappa dal protagonista. I ruoli non sono fissi, ma diversi attori si alternano nell’interpretare i personaggi del conte, di Lucrezia e di Beatrice, a sottolineare come non si tratti della rappresentazione di una vicenda particolare, ma di temi universali. La dimensione rituale cui fa riferimento la messinscena è sottolineata dai suoni realizzati dal vivo con strumenti e voci.

I Cenci vuole spingere lo spettatore a scegliere il proprio ruolo nella società: condividere il delitto dell’ingiustizia attraverso l’indulgenza che si fa complice, oppure reagire con coscienza e, attraverso la professione della propria libertà, mantenersi innocenti?
Un’innocenza negata a Beatrice, che pure è mossa dall’ideale della giustizia. «Accetto il delitto, ma nego la colpa»: espiare il peccato è impossibile senza pentimento.

I Cenci è uno spettacolo che può crescere, e ci auguriamo possa essere approfondito, nonostante l’impostazione di Bagnoli si presenti più adatta ai testi da lui elaborati.
visto al Teatro della Contraddizione il 23.V.2011

I CENCI
di Antonin Artaud
adattamento e regia Gaddo Bagnoli
con Angelo Bosio, Michela Bologna, Eri Cakalli, Paola Figini, Claudia Franceschetti, Federica Garavaglia, Elena Lietti, Igor Loddo, Andrea Magnelli, Stefania Morino, Marco Olivieri, Laura Rinaldi, Tania Ricciardi, Eleonora Zampierolo
   

"BLACKBIRD", SPETTACOLO 'POLITICO' SOSPESO TRA TRAGEDIA GRECA E TABU' CONTEMPORANEI

La storia del pluri-chiacchierato/descritto/rappresentato testo dello scozzese David Harrower l'hanno raccontata ormai tutti. Una scova Ray dopo quindici anni dalla fine, con abbandono, della loro relazione. Torna per dirgli tutto quello che è rimasto in sospeso. Fino a qui niente di insolito. Il particolare che muta scenari, implicazioni, densità dell'argomento è che all'epoca della loro relazione Ray aveva quarant'anni, Una dodici. Il tempo che li ha visti separati è stato intriso di galera e psicologi per lui, di assistenti sociali e psicologi per lei.

Foto di David Ruano

Non è un testo sulla pedofilia. Non è un testo che giudica.
Cos'è, allora, Blackbird?
E' un testo psicologico che, toccando stati emotivi generazionali comuni a tutti, emana una forza primitiva - purché ci si lasci guidare dal testo con curiosità e senza preconcetti.
E' un testo che crea diffidenza: inizialmente innocuo, innesca un'aspettativa sul suo imprevedibile sviluppo. I dialoghi intorno alle banalità delle prime battute lasciano il posto a un progressivo ispessimento della materia, e il peso specifico non è dato dall'argomento tout court, ma piuttosto da tematiche universali che indagano i meccanismi dell'amore e la scoperta di sé, che esplora le zone oscure di una mente vulnerabile, e che mostra la relatività delle posizioni. Harrower dimostra come giudicare i due personaggi sia insidioso e superficiale: Una e Ray sono entrambi vittime ed entrambi carnefici l'uno dell'altra. Con sorprendente intuizione l'autore ha ambientato la vicenda quindici anni dopo: il dramma vero, infatti, non è costituito dalla relazione - di cui, in verità, entrambi conservano un ricordo tenero - ma da quello che ha comportato la consapevolezza. Per lui, l'ammissione di aver commesso un errore; per lei, la coscienza di essere stata abusata. Nessuna istituzione, né la giustizia, né gli psicologi, hanno saputo fornire validi strumenti di ricostruzione del sé. E' straziante il racconto di Ray che spiega come abbia letto tutti i libri sui pedofili alla ricerca di uno specchio che gli rimandasse un'immagine di sé direttamente dalla sua coscienza.
E' un testo «politico», come lo ha definito lo stesso regista Lluis Pasqual, il quale costringe il pubblico alla partecipazione volendo le luci alte in sala per tutta la prima parte dello spettacolo, quasi a suggerire l'idea di luogo rituale, in cui i cittadini sono chiamati a riflettere su una situazione esemplare.

Il coinvolgimento e la forte partecipazione non ribaltano l'impressione che lo spettacolo sia stato tecnicamente sopravvalutato. Il testo non ha impressionato: la prima parte è inverosimile (due amanti che si incontrano dopo quindici anni non si parlerebbero così), e la grande scandalosità che ha reso necessario vietare lo spettacolo ai minori non ha scandalizzato, né il linguaggio è sembrato estremamente crudo. Blackbird, nondimeno, lascia degli ematomi dopo la visione: merito della capacità di Harrower di scavare in una situazione estrema portando alla luce le debolezze che, in maniera diversa da quella raccontata nel testo, segnano la vita di ciascuno. L'impazienza che da ragazzini porta a voler bruciare le tappe, il vuoto dell'abbandono e l'accusa nelle parole «mi avevi abbandonata dopo avermi fatto innamorare», lo strazio di subire una separazione.

La regia discreta di Pasqual è efficace per la scelta dell'ambientazione quotidiana: una stanza d'ufficio in disordine. Diverse le metafore: la spazzatura simbolo del disordine interiore dei due personaggi, la pedana che ruota quando Una inizia a ricordare i dettagli della sera dell'abbandono (e dell'arresto di Ray), segno esteriore di un vortice emotivo interiore. Metafore troppo cerebrali per essere determinanti nella resa del testo.

Lo spettacolo è affidato all'interpretazione dei due protagonisti: Massimo Popolizio presta a Ray un'umanità complessa; scava nel personaggio per dissotterrare angoli bui e offrire una generosa resa del prisma di emozioni, del vissuto a cui sa dare dignità, su cui riesce a tenere sospeso il giudizio. Un'altra intensa prova d'attore, costruita su una tecnica precisa, chirurgica, che gli consente di esplorare e trasmettere solo con le modulazioni vocali i molteplici stati psicologici del personaggio, rimanendo contemporaneamente sempre credibile, misurato, naturale.
Al contrario Anna Della Rosa appare costantemente sopra le righe: la voce sempre spinta e monocorde, e le intonazioni "cantate" hanno tolto credibilità al personaggio. La sensazione è che l'attrice stesse cercando di arrivare al personaggio da fuori, e non da un lavoro interiore. Il personaggio di Una è difficile, e forse necessita di un'attrice più matura. E' un ruolo che esige un lavoro interiore notevole per riuscire a farne emergere le caratteristiche di esemplarità quasi archetipica, come richiedono i personaggi del teatro classico. Per questo motivo possiamo considerare Blackbird un classico della contemporaneità.

«Mentre nella classicità tutto è consentito, nel moderno, stranamente e paradossalmente, ci sono dei tabù»: così Livia Pomodoro sullo spettacolo. Harrower rompe questi tabù, mostrandoci come in amore e nella vita ciascuno abbia la propria parte di colpa.
visto al Piccolo Teatro Studio il 25.V.2011

BLACKBIRD
di David Harrower
versione italiana Alessandra Serra
regia Lluis Pasqual
con Massimo Popolizio, Anna Della Rosa, Silvia Altrui

mercoledì 25 maggio 2011

CAINO DEL TEATRO DELLA VALDOCA: UN MESSAGGIO DI REDENZIONE, PACE, PERDONO

Quando Cesare Ronconi ha visto il Palazzo del Ghiaccio di via Piranesi a Milano lo ha immediatamente chiamato a farsi grembo della sua ultima creatura artistica: Caino, scritto da Mariangela Gualtieri, sua alter ego nel costituire e dare identità al Teatro della Valdoca lungo i 28 anni della sua storia.


La partecipazione (non si tratta di semplice visione) allo spettacolo chiarifica l'elezione del Palazzo del Ghiaccio come unica scelta possibile, trattandosi non di uno spazio fisico in cui svolgere un'azione teatrale, ma di un tempio in cui si riunisce l'assemblea dei cittadini per partecipare a un rito collettivo. La differenza rispetto alla comoda fruizione teatrale suggerisce inconsciamente una suggestione arcaica: laddove le poltroncine creano una distanza fisica forzata e involontaria tra uno spettatore e l'altro e tra la platea e la scena, la gradinata costringe lo spettatore alla vicinanza e all'involontario contatto con il vicino di posto, oltre che creare una comunione di fronte all'altare del rito. Si trasforma, così, in cavea.
La premessa sulla scelta del luogo è funzionale a inquadrare immediatamente l'ambito entro cui si muove Caino: l'ambito del rito, finalizzato alla catarsi.

Entrando al Palazzo del Ghiaccio si ha una sensazione di soffocamento: il bianco senza fine dilata lo spazio fino a renderlo avvolgente, fino a farlo percepire come una presenza viva.
La scena è delimitata sui tre lati da una cascata di teli bianchi e rossi: la purezza del divino e del Bene, il sangue della colpa e del Male. L'impatto visivo crea una suggestione di giardino paradisiaco (il cervo impagliato) e di altare sacrificale (il letto africano autentico in primo piano). Nello spazio scenico agiscono undici interpreti e sul fondo si intravvede il percussionista Enrico Malatesta che esegue le musiche dal vivo (mentre la parte elettronica è eseguita da Alice Berni).

Il tema dello spettacolo suggerisce una struttura a contrapposizioni: tra verbale e danzato, tra un personaggio (e tra un gruppo di personaggi) e l'altro. Il testo di Mariangela Gualtieri, un poemetto denso, generoso e ricco di impressioni visive ed emotive, viene affidato ai quattro personaggi definiti: l'Alato, muto angelo dolente ed etereo che si muove in una danza leggiadra, interpretato con delicatezza da Raffaella Giordano; il vigoroso e regale Lucifero-Illusionista (ma anche, all'inizio, ambiguo "doppio" in candide vesti del nero Caino) di Leonardo Delogu; la materna Maria/Madre Terra dalle sembianze di una profetica mendicante, una Mariangela Gualtieri ineguagliabile interprete dei suoi versi. E il Caino dello straordinario Danio Manfredini. La sua camminata iniziale ritualmente lenta, la pastosità della materia di cui riempie le parole che, per la loro intensità, si scolpiscono sulla pelle, la capacità di dare forma alla sofferenza e alla lacerazione interiore: il Caino di Manfredini è un essere gigantesco e astratto (come lo sono gli archetipi).
Attorno a loro sette danzatori si muovono danzando, correndo, giocando, strisciando sinuosi come animali: spietati, feroci, pietosi, impersonano l'umanità varia, mossa da sentimenti contrastanti di fratellanza, sangue, vendetta.

La regia di Ronconi orchestra un insieme polifonico che moltiplica i piani della visione con azioni che si svolgono contemporaneamente in due e più luoghi scenici. Vengono esplorate tutte le possibilità offerte dallo spazio, sia in verticale (con una scala a pioli da cui Lucifero investirà Caino del ruolo di fondatore della città nuova, ma anche di nemico degli uomini) sia ai limiti laterali (da cui escono i danzatori) e anteriore (la prima azione di Caino avviene fuori dallo spazio delimitato dalla scena, in un immaginario proscenio).
La prossemica è significante delle relazioni tra i personaggi: rari, e perciò importanti, i contatti fisici. Citiamo l'intensa scena della lotta tra Caino e l'Alato: la misurata espressione emotiva dei personaggi non indebolisce e non astrae l'agone.
La ritualità dello spettacolo è sostenuta dal ritmo innaturalmente lento: i movimenti sono trattenuti, definiti con una perfetta pulizia del gesto. Sono immagini archetipiche che si muovono dalle radici della nostra cultura, dimostrano e non agiscono seguendo la linea retta del tempo in quanto sono fuori dal tempo, appartengono a un immaginario comune.

Caino è lo specchio del seme plasmato dentro ciascuno di noi: definizione del genere umano, la sua rappresentazione è apotropaica e, infine, catartica.
Il protagonista di questa opera intrisa di epicità non viene messo sull'altare del teatro per essere sacrificato da un giudizio morale aprioristico che, in questo contesto, sarebbe superficiale e ottuso. Caino ci si manifesta nell'umanissima e lacerante richiesta di amore: da parte del Divino, del fratello, degli uomini. Il vuoto incolmabile di una promessa d'amore disattesa e la rabbia nei confronti del fratello Abele, simbolo di perfezione nella permanenza entro la legge e l'amore, trasformano Caino in essere intriso d'odio. Istigato dall'Illusionista a diventare il primo, il migliore, a sopraffare gli uomini, Caino commuove nella finale ammissione di mancanza: «Abele in parte è qui e in parte manca».
La forza catartica di questo spettacolo è nella redenzione finale, nella fiducia nei confronti dell'Uomo: nelle parole che l'Alato rivolge a Caino con la voce della Gualtieri sono enunciate le opere magnifiche che l'Uomo sarà in grado di produrre, sono evocate le alte vette dell'arte e della scienza. Su Caino si plasma la promessa del Divino: «Tu sei venuto per conoscere tutto! / Tu sei venuto per amare tutto! / [...] Buon viaggio. Buona cima. Buon cammino / terrestre. Comincia qui l'umano. / Non temere. Cominci qui. Sei il primo / di una infinità. Come ognuno che verrà, porti la promessa / e porti il peso di tutti. Da te viene / l'umanità. Farà opere immense».

Una speranza liberatoria, una nuova dignità al nostro essere uomini in un mondo fratricida.
Caino è uno spettacolo che cambia chi vi partecipa, proprio come accade durante un rito.
visto al Palazzo del Ghiaccio di Milano il 21.V.2011

CAINO
regia, luci e scene Cesare Ronconi
testo Mariangela Gualtieri
con Danio Manfredini, Raffaella Giordano, Mariangela Gualtieri, Leonardo Delogu
e con Susanna Dimitri, Giacomo Garaffoni, Sara Leghissa, Isabella Macchi, Silvia Mai, Daria Menichetti, Mila Vanzini
musica dal vivo: percussioni Enrico Malatesta, elettronica Alice Berni
fonica e ricerca del suono Luca Fusconi

L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI HILDA

Al Teatro i di Milano va in scena un nuovo gioco in scatola: si chiama Hilda, giocano un servo e un padrone, in palio il potere.


«Voglio una cameriera che non se ne vada». In questa sbadata affermazione sono racchiuse le intenzioni della biondissima e aristocratica protagonista di Hilda, testo di Marie NDiaye messo in scena da Renzo Martinelli nell’ambito di Face à face – Parole di Francia per scene d’Italia, rassegna che sta aprendo una necessaria finestra di dialogo sulla drammaturgia contemporanea francese.

La signora Lemarchand, ricca e annoiata, sceglie Hilda come sua nuova cameriera, concordando con suo marito Franck condizioni di lavoro e pagamento. Hilda si rivela essere una donna di servizio perfetta, virtù non sufficiente a soddisfare la padrona. La signora, infatti, non vuole solo il lavoro di Hilda: vuole anche la sua amicizia. Inizia così a succhiarne la personalità fino a svuotarla, nel tentativo maldestro ma tirannico di assomigliarle sempre di più, di sostituirsi a lei quale oggetto di attenzioni e amore da parte della famiglia. «E’ amata da lei, da me e i suoi figli sentono la sua mancanza. Io non ho niente di tutto questo»: la signora Lemarchand rivela l’assenza di affetto nella propria vita e tradisce il desiderio di imitare Hilda.

Il testo affonda il bisturi nei giochi di potere tra i personaggi: nell’eco delle Serve di Genet, Hilda rinnova e reinventa lo schema del rapporto tra servo e padrone, definendo la classe sociale dei personaggi attraverso la parola. La signora Lemarchand è la logorroica padrona della scena: è lei che definisce il tema e il ritmo delle scene. I monosillabi di Franck sono complementari alla frastornante verbosità della donna, ma mentre lei tradisce la propria fragilità emotiva, lui è solido e testardo nell’indifferenza ai suoi tentativi di fascinazione. «Senza i miei soldi non avrei potere su di lei»: solamente la sua ricchezza le consente di avere un ascendente, inesorabile ma sgradito, su Franck.
La protagonista, Hilda, non compare mai: nell’assenza, che ne definisce la personalità, prende forma una donna inizialmente solare e determinata, che viene progressivamente defraudata della propria vita, della propria libertà, della propria personalità.

L’interpretazione registica di Renzo Martinelli valorizza il testo facendo emergere l’universo sommerso di tutti i personaggi, da cui partono molteplici linee relazionali che semplificare nella dinamica servo-padrone è riduttivo. Il rapporto tra Franck e la padrona è complesso: investe anche la sfera sessuale ed esprime il desiderio di possesso (si contendono Hilda come se fosse un oggetto).  Ecco perché Hilda è uno spettacolo che parla del Potere e di come esso penetri nella società e nelle persone disumanizzandole.
La messinscena incarna l’aspirazione formale a una rappresentazione stilizzata dello spazio e degli oggetti: l’esuberanza creativa di simboli e astrazioni nell’ultima parte sembra eccedere in tecnicismi meccanici (l’utilizzo dei microfoni) e prossemici (la continua variazione delle distanze e del grado di contatto tra i personaggi).

In questo testo, basato sulla parola, è fondamentale l’interpretazione degli attori: Federica Fracassi si conferma attrice elegante, di classe e charme, capace di dare credibilità misurata a un personaggio alquanto stereotipato. Alberto Astorri costruisce il proprio ruolo sviluppando il linguaggio non verbale dei gesti e del rapporto con gli oggetti. Per nulla secondario il ruolo di Francesca Garolla, serva di scena in stile punk: nei cambi di scena, da lei effettuati al ritmo dei successi della canzone italiana, risuona l’eco dell’invisibile protagonista.

La storia di Hilda offre lo spunto per una riflessione sul ruolo della donna contemporanea: abbandonata dal marito e dalla padrona proprio quando perde la propria identità, Hilda ci esorta ad essere padrone della nostra personalità.
visto al Teatro i il 19.V.2011
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In scena fino al 12 giugno
Hilda
di Marie NDiaye
regia Renzo Martinelli
con Federica Fracassi, Alberto Astorri e Francesca Garolla
produzione Teatro i, in collaborazione con Face à face – Parole di Francia per scene d’Italia, Centre Culturel Francais de Milan
gli abiti indossati da Federica Fracassi sono Malìparmi
(durata dello spettacolo 1 ora e 40 minuti)


lunedì 23 maggio 2011

VINICIO CAPOSSELA TRA MARINAI PROFETI E BALENE - OVVERO: UNA RECENSIONE TEATRALE

Quante volte quando leggo di cantanti che fanno i concerti nei teatri penso: "Ridate i teatri agli attori!", rivendicando la pertinenza di questo luogo (sacro, certo, trattandosi il teatro di rito) a coloro che sono stati designati a esserne i sacerdoti, ovvero gli attori. 
Il caso del concerto a cui ho partecipato stasera è diverso: sul palco un sacerdote della Parola, Vinicio Capossela, che per presentare il suo ultimo album ha scelto i maggiori teatri d'opera italiani. Ai milanesi è toccato gli Arcimboldi, teatrone che nell'era post-sostituto-della-Scala è diventato un contenitore indifferenziato. 


«Marinai, profeti e balene» è un opera enciclopedica che volge la chiglia al passato per risalire la corrente fino alle radici della nostra cultura. Nel corso delle diciannove canzoni che compongono il doppio album (che Vinicio definisce un «oceano di carta») si incontrano creature marine di ogni sorta, mitologiche e ancestrali, e personaggi del mito della classicità nonché delle nostre radici religiose; i riferimenti letterari maggiori sono archetipi quali Omero, Dante, Melville, Conrad.
Il suo concerto è uno spettacolo teatrale a tutti gli effetti: la scenografia nasce da un'idea molto semplice (riprodurre il ventre di una balena e dare l'idea del viaggio per mare) e si propone al pubblico in maniera stilizzata ma completa, facendo ricorso a dei simboli - sufficienti per suggerire ambientazioni, luoghi, persino stati d'animo (con il movimento delle costole della balena). Le luci, di conseguenza, sono molto curate e dense di suggestioni.
Trasmettere un'ideale di semplicità (sinonimo di immediatezza) celando la complessità della progettazione è un risultato ambito e difficilmente raggiunto. Vinicio lo fa con una naturalezza disarmante.
Il concerto è teatro per la costruzione drammaturgica: la musica si alterna con parti recitate complementari, e con movimenti scenici del coro (che evidentemente è riduttivo considerarlo solamente coro musicale).


Quanto detto finora caratterizza la cantautorialità di Vinicio.
Questo ultimo momento creativo ha smosso una riflessione che vuole andare oltre i soli aspetti formali. Vinicio rilegge le nostre radici culturali in maniera più lucida e illuminante di quanto non facciano la letteratura e la drammaturgia contemporanee. Si confronta con i medesimi archetipi mitologici, si pone le stesse domande cui il teatro cerca di dare risposte da quattromila anni. Riesce ad arrivare più in profondità, adattando i classici alla nostra contemporaneità e mostrando che sono ancora pieni di senso. Al di là della maggiore immediatezza del linguaggio musicale rispetto a quello verbale (su cui, in realtà, bisognerebbe puntualizzare perché non è per nulla scontato) sentiamo che c'è più attinenza nel suo modo di rivisitare i miti di quanto non faccia il teatro.
Forse questo accade in virtù della statura artistica di questo artista poliedrico, ma varrebbe la pena capire come mai sia più vicino al teatro come rito un concerto che non il teatro propriamente detto.


Per questo Vinicio è un sacerdote più degno di tanti teatranti che usurpano il luogo che dovrebbe essere destinato a riunire la collettività per riflettere sul presente, per dare delle risposte insinuando delle domande.

domenica 22 maggio 2011

CHI E' DI SCENA! dal 23 al 29 maggio

Spettacoli, incontri ed eventi da non perdere nella settimana teatrale dal 23 al 29 maggio.

LUNEDI'23 MAGGIO
ULTIMA REPLICA
NIENTE PIU' NIENTE AL MONDO
di Massimo Carlotto
regia di Paolo Pierazzini
Teatro Libero  
Via Savona, 10 - tel. 02/8323126

DEBUTTO
I CENCI 
di Antonin Artaud
regia di Gaddo Bagnoli
Compagnia Scimmie Nude
Teatro della Contraddizione - FINO AL 25 MAGGIO 
Via della Braida, 6 - tel. 02/5462155

MARTEDI' 24 MAGGIO
DEBUTTO
PENELOPE IN GROZNYJ
di Marco Calvani 
Teatro Out Off - FINO AL 29 MAGGIO
Via Mac Mahon, 16 - tel. 02/34532140

IL PARADOSSO DEL POLIZIOTTO 
di Gianrico Carofiglio
regia Marina Spreafico
Teatro Arsenale -  FINO AL 5 GIUGNO
Via Cesare Correnti, 11 - tel. 02/8321999 

MERCOLEDI' 25 MAGGIO
INCONTRO
MASSIMO POPOLIZIO
Il protagonista dello spettacolo Blackbird, in scena fino al 29 maggio al Piccolo Teatro Studio, incontra gli allievi della Civica Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi.
Civica Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi - ore 18.00 
Via Salasco, 4 

GIOVEDI' 26 MAGGIO
DEBUTTO
FESTIVAL FANTASTICO RINGHIERA 
Debutta la sesta edizione del Festival organizzato dal Teatro Ringhiera.
Tema di quest'anno: il nazionalpopolare. Ospiti della prima serata: Aldo, Giovanni e Giacomo. Serena Sinigaglia condurrà la serata attraverso una carrellata sull'argomento, partendo da Gramsci per arrivare ai reality show. Interverrà anche Paolo
Limiti.
DA STASERA A DOMENICA 29 MAGGIO
Teatro Ringhiera 
Via Boifava, 17 - tel. 02/84892195
Per il programma completo visitate il sito del Teatro Ringhiera  

VENERDI' 27 MAGGIO
DOPPIA REPLICA
BAKHITA
di Michela Marelli
con Laura Curino
Spazio Mil - FINO AL 28 MAGGIO
Via Granelli, Sesto San Giovanni - tel. 02/36563958
 
INCONTRO
IL CORPO DELLE DONNE
Documentario realizzato da Lorella Zanardo sui metodi di comunicazione del corpo della donna nel linguaggio televisivo.
Teatro Pim Off
ore 21.00: PROIEZIONE DEL DOCUMENTARIO
segue incontro del pubblico con l'autrice Lorella Zanardo
Via Selvanesco, 75 - tel. 02/54102612
 
SABATO 28 MAGGIO
DOPPIA REPLICA
GIRLS GIRLS GIRLS
di Giulia Abbate
Compagnia Container
Teatro Pim Off - FINO AL 29 MAGGIO 
Via Selvanesco, 75 - tel. 02/54102612

FINO AL 29 MAGGIO CONTINUANO LE REPLICHE DI...
REPORT DALLA CITTA' FRAGILE
di Gigi Gherzi e Pietro Floridia
Teatro La Cucina, ex Paolo Pini 
IMPROVVISAMENTE L'ESTATE SCORSA
Teatro Elfo Puccini 
BLACKBIRD 
Piccolo Teatro Studio 
FINALE DI PARTITA
Teatro Elfo Puccini
SOSPETTI (SUS)
Teatro Filodrammatici
ACIDO SOLFORICO
Tieffe Teatro Menotti
DOVE CI PORTA QUESTO TRENO BLU e LE COSE SOTTILI NELL'ARIA
Teatro Franco Parenti

Buon teatro a tutti!

martedì 17 maggio 2011

CONCORSO: DAI UN NOME AL BLOG

Dopo sette mesi di vita è arrivato il momento di un bel rinnovamento!
Il mio blog sta per cambiare indirizzo, vesti...e anche nome!
Trovare un nome nuovo non è facile...mi date una mano?

Proponetemi dei nomi che vi piacerebbero per il mio nuovo blog (facili da ricordare, così in ogni momento potrete dire ai vostri amici di leggermi!).

Ringrazierò personalmente chi avrà avuto maggiore fantasia e mi avrà proposto il nome più adatto: infatti regalerò un biglietto per lo spettacolo "URGE" di Alessandro Bergonzoni al Teatro Elfo Puccini di Milano per la sera della prima martedì 14 giugno ore 21.30.

Scrivetemi le vostre proposte entro la mezzanotte di giovedì 2 giugno.

Mettiamo in azione la nostra "servetta sveltissima", cioè la Fantasia!!!

domenica 15 maggio 2011

IL VECCHIO E IL CIELO: CESARE LIEVI FOTOGRAFA LA REALTA' ITALIANA

L'Italia non è un paese per giovani: non avevamo bisogno di Cesare Lievi per sapere che la gerontocrazia (primato poco orgoglioso del nostro paese) ha allungato i tentacoli in tutti i settori.


La vicenda de Il vecchio e il cielo scaturisce da una notizia comune alle cronache dei quotidiani locali: rapina ai danni di un pensionato, derubato della pensione appena ritirata. La situazione in cui si trova il protagonista della pièce rende più drammatico l'accaduto: primo giorno di pensione, fine della professione di preside scolastico, inizio di una nuova vita. Affrontata con entusiasmo, con aspettative cariche di energia giovanile, dopo aver reciso tutti i "rami secchi, morti" - incluso il rapporto con la compagna di vita degli ultimi quindici anni.

La scena si apre sul salotto spoglio del protagonista, che racconta con meticolosa dovizia di particolari il furto appena subito. L'accaduto genera una crisi esistenziale nell'uomo maturo, incapace di leggere la propria vita come un flusso in continua evoluzione: nella faglia che si apre dalla frattura tra la vita attiva e dinamica (scandita dalle pulsioni vitali della carriera, dell'ambizione, dell'energia sessuale) e la vita contemplativa (in cui ritirarsi nella tranquillità degli affetti e nel piacere degli hobby), si insinuano la riflessione retrospettiva e l'inquietudine di procedere in maniera inesorabile verso il decadimento fisico e la perdita di lucidità mentale.
Intorno al burbero "vecchio" ruotano gli altri tre protagonisti: due donne (la figlia e la compagna) e Cielo, il barbone che lo ha derubato per poi ritornare sui propri passi per restituire il denaro al legittimo proprietario e diventarne amico. Più che amico: Cielo, con una metafora scontata, assume sempre di più i connotati della coscienza del protagonista, di quella parte di sé che ha mantenuto la voglia di godersi la vita - pur nella paura per il futuro incerto e inesorabile.

Il vecchio e il cielo è una commedia di vecchi e per vecchi. Non parlo di età anagrafica, ma di atteggiamento intellettuale: conservatorismo e gerontologia fanno perdere allo spettacolo l'occasione di affrontare temi universali (uno su tutti: la paura della morte) in maniera catartica per gli adulti ed esemplificativa per i giovani.
Drammaturgicamente stanco (pensare a un figlio maschio anziché femmina e a una coscienza femminile invece che rappresentata da un uomo avrebbe moltiplicato le soluzioni e approfondito le problematiche dei rapporti tra i personaggi, ma avrebbe offerto un prisma della situazione), lo spettacolo vede come unico rappresentante della prospettiva giovanile il personaggio della figlia: un compendio delle peggiori caratteristiche umane. "Incerta, fragile, egoista, interessata", la figlia si comporta con opportunismo e subdola gentilezza nei confronti del padre.
Se il testo manca di ritmo ed è scritto in una lingua né quotidiana né colta, la regia non dimostra maggiore efficacia. Ormai è consuetudine fare i cambi scena a vista: la differenza sta nel farli bene. Attori che spostano mobili, aprono e chiudono finestre e porte, fanno scorrere pareti, scopano per terra, tengono in bella (bruttissima) mostra per tutta la durata della scena un cartone di pizza (poco elegante persino nelle cene improvvisate con gli amici): più che una soluzione registica voluta, sembra che la regia non abbia voluto escogitare soluzioni sceniche più articolate - ma più eleganti. Non possiamo evitare di accennare ai costumi: esiste una differenza tra i vestiti di un barbone e dei semplici indumenti rotti, come esiste una differenza tra una regia rigorosa e coerente, e una regia abbozzata.
Solamente l'interpretazione misurata degli attori, e un acuto studio dei personaggi, avrebbe potuto alleggerire la noia. Purtroppo è mancato anche questo.

Il vecchio e il cielo, andato in scena al Piccolo Teatro, è uno spettacolo attuale perché ci ricorda la realtà ingessata e immobile contro cui ci scontriamo ogni giorno, e perché ci offre un chiarissimo esempio di come il mercato dei teatri stabili italiani sia infangato nelle sabbie mobili degli scambi. Controllare la stagione del Teatro Stabile di Udine - di cui Lievi è direttore artistico - per credere.
visto al Piccolo Teatro Grassi il 9.V.2011

IL VECCHIO E IL CIELO
testo e regia Cesare Lievi
con Gigi Angelillo, Ludovica Modugno, Paolo Fagiolo e Giuseppina Turra
scene Josef Frommwieser
costumi Marina Luxardo
luci Gigi Saccomandi

CHI E' DI SCENA! dal 16 al 22 maggio

Spettacoli, incontri ed eventi da non perdere nella settimana teatrale dal 16 al 22 maggio.

LUNEDI'16 MAGGIO
DEBUTTO
MAI PIU' SOLI
di Stefano Benni
con Angela Finocchiaro
regia di Cristina Pezzoli
Piccolo Teatro Strehler - FINO AL 22 MAGGIO 
Largo Greppi, 2 - tel. biglietteria 848.800.304

REPLICA UNICA
DJANGO DEI SOBBORGHI
di Sabrina Dionisio Rossi
regia di Alberto Oliva
Uno spettacolo sul tema del pregiudizio contro il diverso, un percorso di conoscenza della cultura rom. Intervento di don Gino Rigoldi prima dello spettacolo, fisarmonica del M° Jovica Jovic al termine della recita.
Teatro Out Off
Via Mac Mahon, 16 - tel. 02/34532140

MARTEDI' 17 MAGGIO
DEBUTTI
ANESTESIA TOTALE
di e con Marco Travaglio 
con la partecipazione di Isabella Ferrari
Teatro Ciak - FINO AL 22 MAGGIO
Via Procaccini, 4 - tel. 02/76110093

MERCOLEDI' 18 MAGGIO
DEBUTTI
CAINO
di Mariangela Gualtieri
regia di Cesare Ronconi
con Danio Manfredini, Raffaella Giordano, Mariangela Gualtieri, Leonardo Delogu, Giacomo Garaffoni
Palazzo del Ghiaccio - FINO AL 22 MAGGIO 
Via Piranesi, 14 - tel. 199 158 158

DOVE CI PORTA QUESTO TRENO BLU e LE COSE SOTTILI NELL'ARIA
di Massimo Sgorbani
regia di Andrée Ruth Shammah
Teatro Franco Parenti - FINO AL 29 MAGGIO 
Via Pier Lombardo, 14 - tel. 02/59995206

NIENTE PIU' NIENTE AL MONDO
di Massimo Carlotto
regia di Paolo Pierazzini
Teatro Libero - FINO AL 23 MAGGIO 
Via Savona, 10 - tel. 02/8323126

GIOVEDI' 19 MAGGIO
DEBUTTI
HILDA
di Marie N'Diaye
regia Renzo Martinelli
con Federica Fracassi, Alberto Astorri, Francesca Garolla
Spettacolo inserito nella rassegna Face à face - Parole di Francia per scene d'Italia
Teatro i - FINO AL 12 GIUGNO
Via Gaudenzio Ferrari, 11 - tel. 02/8323156

FINO AL 22 MAGGIO CONTINUANO LE REPLICHE DI...
LA GILDA DEL MAC MAHON
Teatro Out Off
4 DONNE E 1 MATRIMONIO
Spazio Tertulliano

A MAGGIO CONTINUANO LE REPLICHE DI... 
REPORT DALLA CITTA' FRAGILE
di Gigi Gherzi e Pietro Floridia
Teatro La Cucina, ex Paolo Pini 
IMPROVVISAMENTE L'ESTATE SCORSA
Teatro Elfo Puccini 
BLACKBIRD 
Piccolo Teatro Studio 
FINALE DI PARTITA
Teatro Elfo Puccini
SOSPETTI (SUS)
Teatro Filodrammatici
ACIDO SOLFORICO
Tieffe Teatro Menotti

Buon teatro a tutti!

mercoledì 11 maggio 2011

ALLA RICERCA DI UN CENTRO DI AMORE PERMANENTE: L'aggancio al Teatro Righiera

Serena Sinigaglia mette in scena un'intensa storia di passione e ricerca d'identità ambientata in Sudafrica.


«Come localizzare l’io di una persona?». La domanda arriva veloce come un taglio sulla pelle: si sono appena concluse le scene iniziali dello spettacolo, ma questo punto interrogativo continua a bruciare fino alla conclusione. Perché intorno a questa domanda si cesella un arabesco di sviluppi narrativi che costituiscono la trama de L’aggancio, spettacolo che Serena Sinigaglia ha tratto dall’affascinante romanzo omonimo di Nadine Gordimer, scrittrice sudafricana premio Nobel nel 1991.

Siamo a Johannesburg, città in cui popolazione occidentale e popolazione di colore coesistono separate da confini invisibili ma tangibili. Qui si incontrano Julie, ricca ragazza occidentale che si è ribellata ai privilegi della propria classe sociale, e Abdu, giovane laureato in economia e immigrato clandestinamente che se la cava come può lavorando in nero come «rattoppa-motori». Due solitudini che si uniscono ubbidendo alla potenza dell’attrazione fisica, per poi scoprire un vincolo che va oltre le leggi civili, quelle del buonsenso comunemente inteso e quelle della ragione: un vincolo che si chiama amore, devozione, appartenenza. Quando Abdu, il cui vero nome è Ibrahim ibn Musa, viene espulso dal Paese, Julie decide di lasciare la propria vita a Johannesburg e abbracciare quella di lui nel suo Paese d’origine («uno di quei Paesi dove non riesci a distinguere la religione dalla politica, la violenza del potere dalla violenza della povertà»). Dopo quasi un anno Abdu-Ibrahim riesce a ottenere il visto per entrare negli Stati Uniti d’America, ma Julie prende una decisione sorprendente, anteponendo il valore della dignità all’amore profondo che prova per lui.

L’intensa poeticità del romanzo riecheggia nello spettacolo in tutta la sua densità: merito del lavoro drammaturgico e registico di Serena Sinigaglia, capace di individuare il fil rouge che attraversa l’intera narrazione e di seguirlo con coerenza e compattezza, valorizzando le descrizioni più liriche e i passaggi più efficaci, e concentrandosi intorno alle figure dei due protagonisti amanti. Il talento della Sinigaglia nell’evocare  ambientazioni si traduce nella virtù di fare del “teatro povero” un teatro di poesia e immaginazione: qualche bidone su un palco spoglio dà i contorni dell’officina in cui si incontrano i due protagonisti; un abat jour e qualche libro impilato hanno l’intimità della camera da letto in cui i due amanti imparano a conoscersi, dapprima usando il linguaggio muto dell’attrazione fisica e poi scoprendo l’uno nell’altra la propria “casa”.
I mesi in cui questa relazione cresce trascorrono in fretta, così come nello spettacolo i “quadri” che scandiscono i loro primi appuntamenti si susseguono in lampi di luce e scene brevi (forse un po’ troppo sintetiche, a voler trovare un difetto in uno spettacolo altrimenti senza sbavature).

Cosa determina l’identità di una persona? Un permesso di soggiorno o il senso di appartenenza a una terra, con i suoi valori e le sue tradizioni? 
Il villaggio da dove viene Abdu-Ibrahim termina dove ha inizio il deserto: il ritorno è un viaggio a ritroso nelle proprie radici (per lui) e alle radici di una cultura profondamente diversa (per lei), alla comune ricerca di un'identità personale, nell’illusione di trovare lo stesso luogo in cui costruire stabilmente la loro vita insieme, di condividere le stesse aspirazioni di vita, gli stessi valori di dignità e di famiglia. La terra di Abdu-Ibrahim è il colore caldo della sabbia (che fuoriesce dai bidoni già in scena), l’odore intenso dell’incenso, il velo che copre il capo di Julie e una musica arabeggiante.
L’efficacia della struttura drammaturgica che alterna senza soluzione di continuità dialoghi e cornice narrativa si regge sull’abilità dei due interpreti di mantenersi coerenti con il personaggio e sempre credibili: L'aggancio è, così, un raro esempio di convincente riduzione teatrale di un romanzo.

Il linguaggio simbolico, misurato e sobriamente elegante della Sinigaglia è perfettamente interpretato da Mariangela Granelli e Fausto Russo Alesi. Lei, una Julie solare, con l’energia capricciosa delle ragazze viziate e la spregiudicata determinazione consentita dalla libertà di poter essere padrona delle proprie scelte. Lui, un Abdu-Ibrahim interpretato con la consueta meticolosa misura, scavando nel personaggio per farne emergere ogni sfumatura di luce e ombra.
La fresca spontaneità della Granelli fa da contrappeso alla perfetta tecnica di Russo Alesi, che mostra senza compiacimenti il proprio talento di trasformista.
visto al Teatro Ringhiera il 7.V.2011


L’AGGANCIO

dal romanzo omonimo di Nadine Gordimer

drammaturgia e regia Serena Sinigaglia
con Mariangela Granelli e Fausto Russo Alesi
scene Maria Spazzi
costumi Federica Ponissi
disegno luci e scelte musicali Alessandro Verazzi