lunedì 15 novembre 2010

IL POPOLO NON HA PANE? DIAMOGLI LE BRIOCHES!

IL POPOLO NON HA PANE? DIAMOGLI LE BRIOCHES!
regia e testo di Filippo Timi e Stefania De Santis
con: Filippo Timi (Amleto), Paola Fresa (Ofelia), Lucia Mascino, Marina Rocco e Luca Pignagnoli

"Siamo condannati a morte, tutti quanti; e allora godiamocela finché possiamo!"
Se Amleto potesse essere altro da sé cosa sceglierebbe di essere, chi, come ?
Di fronte a un dolore che fa impazzire cosa diventerebbe?
E se non fosse in grado di sopportare tutto quello che deriva dall'uccisione del padre, dal tradimento dello zio, dalla perdita di Ofelia?
Ma Amleto voleva proprio essere Amleto?
Nei nomi è chiuso il destino di ciascuno: Amleto subisce un destino che non vuole, responsabilità che non si assume, una maturità a cui è costretto ma a cui non è preparato.
Distruzione come segno di fallimento: Amleto demolisce tutto quello che lo circonda e che è perché non è capace di affrontarlo e di governarlo. 
Primo momento di attualità, l'inadeguatezza di un giovane come tanti che esplode nell'(auto)distruzione. Amleto, ragazzino viziato che vorrebbe proseguire la sua giovinezza in spensieratezza e seguendo le proprie pulsioni, si ritrova a ripudiare la madre in quanto viene meno alla funzione della figura femminile che rappresenta, e rifiuta Ofelia in quanto non è "capace di tutto questo amore". Ofelia è l'amore maturo, Amleto è ancora un bambino che insegue le soddisfazione dei propri istinti e delle proprie voglie. 
I personaggi - tutti - incontrano il Male, fanno amicizia con lui e da lì ha inizio la discesa verso i propri Inferi interiori.
Questo è l'Amleto secondo Filippo Timi, una rilettura originale perché porta in scena un divertimento a cui solitamente non è associato l'eroe scespiriano. Amleto mostra l'altra faccia: vorrebbe essere un eroe, ma fallisce.
Come Amleto, anche gli altri personaggi vorrebbero uscire dal ruolo che si sono costruiti e che li costringe a una continua finzione. Amleto si rifugia nella pazzia, ma è solo l'ennesima finzione e alla fine si uccide perdendo la partita con il Male. Ofelia diventa donna capace di un amore consapevole, furba per soddisfare i propri interessi, ma sconfitta quando si tratta di ottenere da Amleto quell'amore innocente e vero - che è il suo reale bisogno. E si uccide. Marylin è sopraffatta dalla sua stessa immagine di oca svampita, e si uccide. L'unica donna capace di cavalcare sempre le onde della vita adattandosi e reinventandosi è la madre di Amleto, che però in fondo appare schiava del bisogno di una presenza maschile (quindi morto il marito, sotto il cognato). E' l'unica che non si uccide, che riesce a frenare la sopraffazione soffocando la consapevolezza dell'errore nel vivere la propria vita orientata verso non si sa cosa. Viene uccisa da Amleto che distrugge il Male per estirparlo. 
Proprio le donne sono protagoniste di questo spettacolo per lo spazio che hanno, per l'influenza che hanno su Amleto, per la varietà delle tipologie che offrono (compresa una tragicomica Marylin che incarna il mito pop occidentale).
Attualissimo il monologo della donna che appare in scena seminuda portando la sua storia di cervello sedato dal ruolo di attricetta-col-bel-faccino, ruolo che ha accettato ma da cui ormai vorrebbe fuggire.
Lo spettacolo è di una cupezza angosciante, ossimoro delle aperte risate che provoca. "Ridere, è la risposta della coscienza alla tragedia? Ridere il pianto. Ridere la morte. Ridere l'abbandono. Ridere il tradimento. Ridere la follia. Ogni sentimento ha una bocca, e io voglio far ridere la bocca dei sentimenti! Ogni vita è lo specchio della vita".

Lo spettacolo vive di momenti di puro divertimento accentuati e moltiplicati dalle improvvisazioni in scena, dal dialogo con un pubblico caloroso, partecipe, VIVO! - che tanto si differenzia dal pubblico milanese che vuole essere intellettuale ma che alla fine risulta solo imbalsamato.
E' uno spettacolo che vive nel segno di Filippo Timi, e a questo punto non posso non sprecarmi nell'ennesima esaltazione dell'artista...e lasciamo passiamo oltre, senza curarcene, ai gridolini eccitati delle donnicciole in adolescenziale subbuglio ormonale.
Istrione, mattatore e guitto. Timi costruisce lo spettacolo dando a sè e agli altri attori lo spazio per improvvisare, divertirsi, giocare in scena, e lo fa non per vezzo autoreferenziale, ma coinvolgendo il pubblico, dandogli una parte all'interno della costruzione della scena. Si rivolge apertamente al pubblico, usa ogni movimento della platea per creare un dialogo. Non lo fa da attore comico, uscendo dalla scena e creando una parentesi nella storia, ma senza fermare mai l'azione inserisce nel canovaccio i cellulari che suonano, le risate, gli applausi.
Niente è lasciato al caso: i momenti di improvvisazione e di spazio al pubblico sono calcolati e stabiliti all'interno della struttura del testo. Prevalgono nella prima parte, poi si fanno sporadici: la risata iniziale traghetta alla tragedia finale, con lo straziante monologo di Ofelia morta, e la morte che inghiotte tutti.
Timi si dà, sul palcoscenico, con una verità, una vivdezza, un'autenticità, un'estrosità uniche. Passa dal registro comico a quello tragico con una velocità che disorienta.
Ora lo aspetteremo a marzo al Parenti con la nuova produzione!!!

visto al Teatro della Tosse di Genova il 13.XI.2010

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