lunedì 22 novembre 2010

LA SCUOLA DELLE MOGLI

LA SCUOLA DELLE MOGLI
di Molière
versione italiana e adattamento di Valter Malosti
regia di e con Valter Malosti
con: Mariano Pirrello, Valentina Virando, Giulia Cotugno, Marco Imparato, Fausto Caroli, Gianluca Gambino
Produzione Teatro di Dioniso e Teatro Stabile di Torino

Diciamolo subito: questo di Malosti è uno spettacolo fatto bene, intellettualmente onesto, coerente con l'istanza autoriale. La compagnia è nel complesso di discreto livello, ed è una rarità soprattutto in spettacoli, come questo, impostati sul capocomico-mattatore. Malosti si ritaglia questo ruolo, sicuramente qui ne è sempre all'altezza. 
E' la scelta di impostazione che non ci convince. O meglio, che contrasta vivamente con la nostra idea di messinscena di un classico. L'ambientazione gotica e grottesca ci piace, è un'idea originale applicata a La scuola delle mogli; ma in molti casi Malosti oltrepassa il limite dell'ortodossia. Se da un lato questo stile alla Tim Burton cattura immediatamente lo spettatore, alcune scelte allontanano un po' troppo dal testo: la colonna sonora costante, la vocalità sempre spinta e sempre urlata, l'accompagnamento alla chitarra di un Orace-cantastorie-cantautore, la contaminazione musicale con brani di Verdi, Gaber, Leo Ferré. I servi e Agnèse parlano ricorrendo a un grammelot di italiano e francesce divertentissimo, ma abusato. L'impressione è che tutte le trovate siano utilizzate troppo a lungo e in troppe occasioni. Un assoluto e indiscutibile pollice verso per due trovate: la rappata di Agnèse che racconta il primo incontro con Orace, e il decalogo della buona moglie letto da un'improbabile suora vestita alla maniera di Lady Gaga, che improvvisamente rimane (quasi) nuda alla maniera delle ballerine del Moulin Rouge (forse meno raffinata). Decisamente trash, povero Molière.
Gli attori, abbiamo detto, sono di discreto livello. Agnèse si presenta come una bambolottona ingenua in stile Alice nel paese delle meraviglie, e ci convince più di quando invece mostra la sua maturità nell'autodeterminazione del proprio destino mostrandosi più intelligente e consapevole di quanto Arnolphe non credesse. Il personaggio di Arnolphe viaggia per tutto lo spettacolo su un livello psicologico superficiale ed esteriore - comunque sempre coerente con l'impostazione della messinscena. Ci piace molto di più alla fine, quando mostra una verità dei sentimenti nel momento in cui la sua passione inaspettata lo fa vacillare nel suo proposito di prevaricazione. Per passione, quella che scopre di provare per Agnèse, si trasforma in un altro uomo. E questo è quello che l'amore dovrebbe provocare in tutti gli uomini (e le donne).
Rimaniamo comunque dell'idea che questi divertissement non si addicano a un testo come questo, che andrebbe affrontato con il rigore che merita. Si può essere moderni anche senza traslare la Parola in altre dimensioni incongrue. Questo, inoltre, è un testo che possiede una modernità insita nelle parole: il dramma di un marito geloso, con un'attualità che ci racconta quasi quotidianamente di violenze di vario genere sulle donne e di omicidi per moventi di gelosia. Agnèse, così innocente, rivela una donna matura che decide del proprio destino: se non è moderna questa evoluzione...
Un pregio di questo spettacolo, da non sottovalutare: trova una chiave originale ed efficace per far arrivare un testo classico al pubblico, e c'è bisogno di un ponte tra autori e spettatori.

Link al video dello spettacolo: http://www.youtube.com/watch?v=hLe0IfDGIgw

visto al Teatro Franco Parenti il 17.XI.2010

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