MARATONA DI NEW YORK
di Edoardo Erba
diretto e interpretato da Cristian Giammarini e Giorgio Lupano
Produzione Teatro Stabile delle Marche
Una veduta aerea di New York con una musica che accentua le suggestioni del fascino di questa città, fino a perdersi in una visione del cielo stellato. Così inizia questa messinscena diretta e interpretata da Cristian Giammarini (attore di ronconiana scuola ed "elfo" per lungo tempo) e Giorgio Lupano (che si alterna tra teatro, televisione e cinema), che fanno emergere l'aspetto onirico della storia e l'atmosfera rarefatta dell'ambientazione.
Maratona di New York è un atto breve che Edoardo Erba scrisse agli esordi della propria carriera attirando i riflettori nazionali ed esteri: vincitore del Premio Candoni nel 1992, il testo è stato tradotto in inglese, catalano, spagnolo, israeliano e friulano, ed è stato rappresentato a Londra, Edimurgo, Barcellona, Buenos Aires, Tel Aviv e Parigi. Un successo esteso, di cui, provando a indagarne i motivi, troviamo le ragioni nei dialoghi leggeri che raccontano una generazione (quella dei trentenni circa), nella progressiva profondità in cui si spingono i temi accennati e le domande che i due protagonisti si fanno, nelle sfumature dei personaggi, dai contorni sempre meno delineati. Ma soprattutto dalla splendida metafora della corsa come vita, della fatica come lotta, dell'allenamento come preparazione al riscatto del passato e alla vittoria futura.
La normalità della situazione si tinge progressivamente di tinte pinteriane: nella normalità della situazione (due amici, Steve e Mario, che si incontrano per allenarsi alla corsa di notte in vista dell'obiettivo indicato dal titolo della pièce) emerge poco a poco l'incertezza dei riferimenti di luogo (in un paesaggio che Mario non riconosce più) e soprattutto della stessa reale identità dei due protagonisti: rimane avvolta nella nebbia l'ipotesi che i due siano fratelli, che siano morti, che siano la stessa persona nella rappresentazione di un "io" sdoppiato in continuo dialogo con se stesso.
L'allestimento sottolinea in maniera efficace questi elementi: la scena, immersa nei contorni sfumati e incerti dei neri, trova sostegno nelle videoproiezioni con cui si contamina il linguaggio della parola: la tessitura visiva è sia di ambientazione (le immagini del sentiero di notte) che - soprattutto - simbolica (l'iniziale skyline di New York a identificare l'obiettivo del loro correre, il cielo stellato su cui sono disegnate le costellazioni - simbolo dei sogni che animano i due protagonisti, le immagini brevi e in alcuni momenti visionarie che interrompono la proiezione fissa del cielo).
Il ritmo è scandito dalla corsa degli ottimi Giammarini e Lupano (infaticabili in scena): un ritmo sospeso nelle cui pause trovano sviluppo i ricordi spesi tra i giochi d'infanzia e le gelosie giovanili e gli interrogativi imposti da temi leggeri (come il cameratesco racconto di come si sono conosciuti, o le riflessioni sulle donne) che si approfondiscono nella seconda parte (l'esistenza di Dio, i rapporti familiari).
Lo spettacolo è diviso in tre blocchi scanditi da altrettanti momenti di sospensione: la prima parte è quella più realistica, con i due amici che si incontrano e iniziano a correre chiacchierando di temi leggeri; nella seconda si rivelano progressivamente le suggestioni metaforiche della Maratona come meta della vita, del correre come vivere, del dolore come barriera da abbattere con l'insistenza e la tenacia nel sopportarlo; infine la terza lascia spazio alle suggestioni metafisiche oniriche, in uno spazio senza contorni e identità incrociate e indefinite.
I due attori in scena prestano con esattezza la propria fisicità ai personaggi esprimendone il carattere: Mario (Giammarimi) è più timido, dimesso, preso tra paure e infantilismi; Steve (Lupano) è sicuro di sé, ha certezze ed entusiasmi che lo portano ad avere un atteggiamento più grintoso nei confronti della vita. Inizialmente è Steve a reggere meglio la corsa (leggi: vita), ma nell'ultima parte sarà invece Mario a riuscire ad elevarsi dalla realtà e raggiungere la meta, il sogno. Franco Quadri (nell'introduzione ai testi di Edoardo Erba) ha visto in questo scambio di posizioni la sconfitta di Steve che rimane ancorato alla sua permanenza nel reale, mentre il pubblico segue Mario nella sua trance agonistica, in una corsa che sembra portarlo in mezzo a quelle stelle che fanno da sfondo.
Il pubblico ha reso il giusto riconoscimento ai due interpreti con applausi sinceri e ripetute chiamate. Ci farebbe piacere sentire lo stesso calore in tante platee milanesi un po' infreddolite.
Per vedere il video promo dello spettacolo clicca qui
visto al Teatro Giuditta Pasta di Milano il 13.I.2011
Cara Vale, commento qui perchè non ho la possibilità di farlo sulla pagina del teatro di innovazione. è di quella che vorrei parlarti. bella idea, approvo in pieno la decisione di un approfondimento sul teatro di innovazione! indipendentemente dai gusti credo sia fondamentale conoscere tutto ciò che è innovazione e ricerca e tentativo di rinnovamento dei linguaggi. Come tesi di diploma della paolo grassi io e due mie compagne abbiamo fatto un lavoro intitolato "Nuove generazioni teatrali" in cui indaghiamo la realtà delle giovani compagnie teatrali, tra Generazione T e suoi discendenti. Se vuoi quando ci vediamo posso portartela, ci sono, tra le altre cose, interviste alle compagnie e tanti contributi critici che, se ti interessa, potresti leggere.
RispondiEliminaBaci,
Elisa.