L'età dei personaggi teatrali non è un semplice elemento della finzione scenica, che si può decidere di rispettare o meno. Se in alcuni casi è pur vero che il trucco e la tecnica sono mezzi sicuri attraverso cui un attore può costruire un personaggio anagraficamente distante da sé, ci sono tuttavia personaggi che sono fatti della stessa materia della vita: non possono essere interpretati da attori che non abbiano la stessa età (magari descritta dall'autore stesso), non possono trovare espressione in un corpo che non sia coerente con la loro età, non possono parlare attraverso una voce incongrua, non possono attingere a esperienze diverse da quelle che l'età comporta.
Krapp appartiene a questa categoria di personaggi: il burbero vecchio cui Beckett ha dato vita si muove in bilico tra passato e presente, conscio che non ci sarà più futuro per lui. Si offre allo sguardo del pubblico nel giorno del suo sessantanovesimo compleanno, impegnato nel rituale della registrazione su un nastro degli avvenimenti più significativi dell'anno appena trascorso. Prima, però, vuole ascoltare il nastro su cui è registrato il racconto degli eventi che risalgono a quarant'anni prima e che segnano l'addio di Krapp non solo all'amore, ma a tutti i rapporti umani. In nome della concentrazione sulla propria carriera artistica.
L'ultimo nastro di Krapp, quello che si appresta a incidere, racchiude il bilancio della scelta fatta tanti anni prima.
In uno spazio che evoca la "tana" descritta da Beckett nelle didascalie (giustissima la scelta di ambientare lo spettacolo nello spazio minimo del piano sotterraneo del Teatro Due), Krapp emerge dal buio come una creatura nata dalla fantasia, ma ha uno spessore di concretezza che l'umanità che si porta dentro gli conferisce. Un'umanità densa di rimpianti e sofferenza, fatta di dettagli comici e commoventi, che Giancarlo Ilari rende con una naturalezza che non concede nulla al grottesco per rimanere così intensamente avvolta alla realtà da far emergere un lirismo che solitamente in Beckett cede il passo all'assurdo.
Da splendido ottantaduenne Ilari presta non solo corpo e voce, ma anche tempi, carisma, vissuto al suo Krapp, e all'interno della partitura precisa imposta dagli eredi Beckett si muove con una naturalezza tutta personale, trovando coloriture, modulazioni della voce, andature suggerite dalle stesse didascalie e dalla punteggiatura. Come ha sottolineato il regista Massimiliano Farau, "dietro la partitura precisissima di Beckett c'è sempre un motivo: eseguendo le didascalie l'attore 'sente', ne emerge un'immagine molto forte con una icasticità e una forza che va oltre e suggerisce un'inifinità di significati possibili".
Tutta la scena si gioca sull'asse temporale del continuo slittamento tra passato e presente: l'addio al mondo compiuto in un passato ormai così lontano si riflette nel presente di una vita giunta al termine delle sue possibilità di realizzazione; Beckett fa di Krapp il paradigma della moltiplicazione dell'io che trova contemporaneità di rappresentazione dell'io passato e dell'io presente. Cosa rimane dei propositi di condurre una vita di solitudine, di rinchiudersi nel buio che mi circonda? Rimane il vecchio, che considera il giovane come un povero cretino. Nell'ultimo nastro che incide c'è tutta la forza distruttiva e catartica di Beckett.
Nello spazio interamente costruito sul contrasto cromatico bianco/nero l'autore fa voltare il capo al suo personaggio solamente due volte, facendogli sospendere l'azione che stava compiendo: improvvisamente non siamo più soli, e percepiamo l'alito della morte che ci osserva dall'oscurità. Per Krapp il passare del tempo è irrimediabile, ma noi possiamo ancora correggere le nostre scelte: non a caso la parola finale è affidata al Krapp trentanovenne, come a far intendere che per noi la salvezza è ancora possibile.
visto al Teatro Due di Parma il 13.III.2011
KRAPP'S LAST POST
di Samuel Beckett
traduzione di Carlo Fruttero
con Giancarlo Ilari
regia di Massimiliano Farau
produzione Fondazione Teatro Due
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