La partecipazione (non si tratta di semplice visione) allo spettacolo chiarifica l'elezione del Palazzo del Ghiaccio come unica scelta possibile, trattandosi non di uno spazio fisico in cui svolgere un'azione teatrale, ma di un tempio in cui si riunisce l'assemblea dei cittadini per partecipare a un rito collettivo. La differenza rispetto alla comoda fruizione teatrale suggerisce inconsciamente una suggestione arcaica: laddove le poltroncine creano una distanza fisica forzata e involontaria tra uno spettatore e l'altro e tra la platea e la scena, la gradinata costringe lo spettatore alla vicinanza e all'involontario contatto con il vicino di posto, oltre che creare una comunione di fronte all'altare del rito. Si trasforma, così, in cavea.
La premessa sulla scelta del luogo è funzionale a inquadrare immediatamente l'ambito entro cui si muove Caino: l'ambito del rito, finalizzato alla catarsi.
Entrando al Palazzo del Ghiaccio si ha una sensazione di soffocamento: il bianco senza fine dilata lo spazio fino a renderlo avvolgente, fino a farlo percepire come una presenza viva.
La scena è delimitata sui tre lati da una cascata di teli bianchi e rossi: la purezza del divino e del Bene, il sangue della colpa e del Male. L'impatto visivo crea una suggestione di giardino paradisiaco (il cervo impagliato) e di altare sacrificale (il letto africano autentico in primo piano). Nello spazio scenico agiscono undici interpreti e sul fondo si intravvede il percussionista Enrico Malatesta che esegue le musiche dal vivo (mentre la parte elettronica è eseguita da Alice Berni).
Il tema dello spettacolo suggerisce una struttura a contrapposizioni: tra verbale e danzato, tra un personaggio (e tra un gruppo di personaggi) e l'altro. Il testo di Mariangela Gualtieri, un poemetto denso, generoso e ricco di impressioni visive ed emotive, viene affidato ai quattro personaggi definiti: l'Alato, muto angelo dolente ed etereo che si muove in una danza leggiadra, interpretato con delicatezza da Raffaella Giordano; il vigoroso e regale Lucifero-Illusionista (ma anche, all'inizio, ambiguo "doppio" in candide vesti del nero Caino) di Leonardo Delogu; la materna Maria/Madre Terra dalle sembianze di una profetica mendicante, una Mariangela Gualtieri ineguagliabile interprete dei suoi versi. E il Caino dello straordinario Danio Manfredini. La sua camminata iniziale ritualmente lenta, la pastosità della materia di cui riempie le parole che, per la loro intensità, si scolpiscono sulla pelle, la capacità di dare forma alla sofferenza e alla lacerazione interiore: il Caino di Manfredini è un essere gigantesco e astratto (come lo sono gli archetipi).
Attorno a loro sette danzatori si muovono danzando, correndo, giocando, strisciando sinuosi come animali: spietati, feroci, pietosi, impersonano l'umanità varia, mossa da sentimenti contrastanti di fratellanza, sangue, vendetta.
La regia di Ronconi orchestra un insieme polifonico che moltiplica i piani della visione con azioni che si svolgono contemporaneamente in due e più luoghi scenici. Vengono esplorate tutte le possibilità offerte dallo spazio, sia in verticale (con una scala a pioli da cui Lucifero investirà Caino del ruolo di fondatore della città nuova, ma anche di nemico degli uomini) sia ai limiti laterali (da cui escono i danzatori) e anteriore (la prima azione di Caino avviene fuori dallo spazio delimitato dalla scena, in un immaginario proscenio).
La prossemica è significante delle relazioni tra i personaggi: rari, e perciò importanti, i contatti fisici. Citiamo l'intensa scena della lotta tra Caino e l'Alato: la misurata espressione emotiva dei personaggi non indebolisce e non astrae l'agone.
La ritualità dello spettacolo è sostenuta dal ritmo innaturalmente lento: i movimenti sono trattenuti, definiti con una perfetta pulizia del gesto. Sono immagini archetipiche che si muovono dalle radici della nostra cultura, dimostrano e non agiscono seguendo la linea retta del tempo in quanto sono fuori dal tempo, appartengono a un immaginario comune.
Caino è lo specchio del seme plasmato dentro ciascuno di noi: definizione del genere umano, la sua rappresentazione è apotropaica e, infine, catartica.
Il protagonista di questa opera intrisa di epicità non viene messo sull'altare del teatro per essere sacrificato da un giudizio morale aprioristico che, in questo contesto, sarebbe superficiale e ottuso. Caino ci si manifesta nell'umanissima e lacerante richiesta di amore: da parte del Divino, del fratello, degli uomini. Il vuoto incolmabile di una promessa d'amore disattesa e la rabbia nei confronti del fratello Abele, simbolo di perfezione nella permanenza entro la legge e l'amore, trasformano Caino in essere intriso d'odio. Istigato dall'Illusionista a diventare il primo, il migliore, a sopraffare gli uomini, Caino commuove nella finale ammissione di mancanza: «Abele in parte è qui e in parte manca».
La forza catartica di questo spettacolo è nella redenzione finale, nella fiducia nei confronti dell'Uomo: nelle parole che l'Alato rivolge a Caino con la voce della Gualtieri sono enunciate le opere magnifiche che l'Uomo sarà in grado di produrre, sono evocate le alte vette dell'arte e della scienza. Su Caino si plasma la promessa del Divino: «Tu sei venuto per conoscere tutto! / Tu sei venuto per amare tutto! / [...] Buon viaggio. Buona cima. Buon cammino / terrestre. Comincia qui l'umano. / Non temere. Cominci qui. Sei il primo / di una infinità. Come ognuno che verrà, porti la promessa / e porti il peso di tutti. Da te viene / l'umanità. Farà opere immense».
Una speranza liberatoria, una nuova dignità al nostro essere uomini in un mondo fratricida.
Caino è uno spettacolo che cambia chi vi partecipa, proprio come accade durante un rito.
visto al Palazzo del Ghiaccio di Milano il 21.V.2011
CAINO
regia, luci e scene Cesare Ronconi
testo Mariangela Gualtieri
con Danio Manfredini, Raffaella Giordano, Mariangela Gualtieri, Leonardo Delogu
e con Susanna Dimitri, Giacomo Garaffoni, Sara Leghissa, Isabella Macchi, Silvia Mai, Daria Menichetti, Mila Vanzini
musica dal vivo: percussioni Enrico Malatesta, elettronica Alice Berni
fonica e ricerca del suono Luca Fusconi
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