lunedì 23 maggio 2011

VINICIO CAPOSSELA TRA MARINAI PROFETI E BALENE - OVVERO: UNA RECENSIONE TEATRALE

Quante volte quando leggo di cantanti che fanno i concerti nei teatri penso: "Ridate i teatri agli attori!", rivendicando la pertinenza di questo luogo (sacro, certo, trattandosi il teatro di rito) a coloro che sono stati designati a esserne i sacerdoti, ovvero gli attori. 
Il caso del concerto a cui ho partecipato stasera è diverso: sul palco un sacerdote della Parola, Vinicio Capossela, che per presentare il suo ultimo album ha scelto i maggiori teatri d'opera italiani. Ai milanesi è toccato gli Arcimboldi, teatrone che nell'era post-sostituto-della-Scala è diventato un contenitore indifferenziato. 


«Marinai, profeti e balene» è un opera enciclopedica che volge la chiglia al passato per risalire la corrente fino alle radici della nostra cultura. Nel corso delle diciannove canzoni che compongono il doppio album (che Vinicio definisce un «oceano di carta») si incontrano creature marine di ogni sorta, mitologiche e ancestrali, e personaggi del mito della classicità nonché delle nostre radici religiose; i riferimenti letterari maggiori sono archetipi quali Omero, Dante, Melville, Conrad.
Il suo concerto è uno spettacolo teatrale a tutti gli effetti: la scenografia nasce da un'idea molto semplice (riprodurre il ventre di una balena e dare l'idea del viaggio per mare) e si propone al pubblico in maniera stilizzata ma completa, facendo ricorso a dei simboli - sufficienti per suggerire ambientazioni, luoghi, persino stati d'animo (con il movimento delle costole della balena). Le luci, di conseguenza, sono molto curate e dense di suggestioni.
Trasmettere un'ideale di semplicità (sinonimo di immediatezza) celando la complessità della progettazione è un risultato ambito e difficilmente raggiunto. Vinicio lo fa con una naturalezza disarmante.
Il concerto è teatro per la costruzione drammaturgica: la musica si alterna con parti recitate complementari, e con movimenti scenici del coro (che evidentemente è riduttivo considerarlo solamente coro musicale).


Quanto detto finora caratterizza la cantautorialità di Vinicio.
Questo ultimo momento creativo ha smosso una riflessione che vuole andare oltre i soli aspetti formali. Vinicio rilegge le nostre radici culturali in maniera più lucida e illuminante di quanto non facciano la letteratura e la drammaturgia contemporanee. Si confronta con i medesimi archetipi mitologici, si pone le stesse domande cui il teatro cerca di dare risposte da quattromila anni. Riesce ad arrivare più in profondità, adattando i classici alla nostra contemporaneità e mostrando che sono ancora pieni di senso. Al di là della maggiore immediatezza del linguaggio musicale rispetto a quello verbale (su cui, in realtà, bisognerebbe puntualizzare perché non è per nulla scontato) sentiamo che c'è più attinenza nel suo modo di rivisitare i miti di quanto non faccia il teatro.
Forse questo accade in virtù della statura artistica di questo artista poliedrico, ma varrebbe la pena capire come mai sia più vicino al teatro come rito un concerto che non il teatro propriamente detto.


Per questo Vinicio è un sacerdote più degno di tanti teatranti che usurpano il luogo che dovrebbe essere destinato a riunire la collettività per riflettere sul presente, per dare delle risposte insinuando delle domande.

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