Un padre violento e ottuso che non si alza mai dalla poltrona e che ha un vocabolario limitato a insulti e improperi. Una madre con smanie di protagonismo e ambizioni di successo. Entrambi soggiogati e vittime dell'immaginario televisivo che inghiotte la realtà in un grande vuoto. Uno zio in arrivo dagli anni Settanta per il look, dalla cronaca contemporanea per l'incesto (con la sorella): viscido e succube del dio danaro. Un ristoratore-macellaio mellifluo e orribile, che dalla famigliola si rifornisce di organi e carne da servire ai clienti come prelibatezze. Poi ci sono loro, i canicani, i figli vittime della violenza domestica, della violenza della società. Allevati come carne da macello, pronti a essere sostituiti da nuovi bambini. Uno spaccia, l'altra si prostituisce, al terzo levano gli organi perché è l'unico ad averli sani, ma muore; sta per essere sostituito da un feto figlio di un incesto, frutto della violenza del padre sulla figlia. Nel finale sospeso tra riscatto e rassegnazione sarà proprio la voce del bambino in grembo alla ragazza a sconfiggere la violenza degli adulti e a lasciare aperta la speranza di un futuro di integrazione e normalità.
Tematiche sconvolgenti, quelle scritte dal drammaturgo Aquilino e messe in scena dal regista Stefano De Luca, che con la sua compagnia Lupusagnus ha realizzato una trilogia della famiglia intorno ai temi della violenza domestica: Mamma mammazza racconta di una madre che uccide il figlio, Verginella di un abuso, Canicani è l'ultimo capitolo.
Temi così forti da richiedere un distacco brechtiano e catartico dalla materia. Motivo per cui il regista ha operato una scelta stilistica spiazzante: rappresentare il testo in forma di musical. Operazione pienamente riuscita: il distacco è funzionale, l'atmosfera surreale e i personaggi grotteschi aiutano a prendere coscienza che la violenza che viene rappresentata in scena ha un'attinenza alla realtà e al contemporaneo molto più stretta di quanto si sarebbe potuto percepire attraverso il coinvolgimento emotivo.
Lode agli attori, tutti bravissimi, alcuni travolgenti: Annamaria Rossano (che dà una voce perfetta e una presenza scenica carismatica alla madre) e Tommaso Banfi (lo zio, originale e vagamente pulp). La formazione accademica si vede, e fa la differenza.
Il contrasto tra materia tragica e forma comica perde di efficacia nel finale: il lirismo delle figure dei canicani non si incastra bene con le figure grottesche degli adulti. Inoltre l'intervento della voce del feto è sembrata personalmente un passo di troppo in direzione del surreale.
Qualche ridondanza nel testo e nella resa del personaggio del padre non tolgono valore al lavoro di De Luca, coraggioso indagatore dell'orrore domestico. Indagine condotta con serietà, senza compiacimenti né retorica, ma soprattutto con tanta sincerità e impegno nell'assumere il compito che ogni teatrante dovrebbe avere come ideale: comunicare al pubblico, scuotendo le coscienze e proponendo delle chiavi di lettura del presente, dando degli strumenti che aiutino a comprendere meglio il mondo in cui viviamo. Non voglia di provocare, ma profondità dei contenuti.
La passione nelle parole usate da De Luca durante l'incontro a fine spettacolo ci hanno trasmesso la passione per un mestiere, l'affermazione della dignità del ruolo del teatro (essere un mezzo di redenzione dagli orrori della società), il rispetto per il pubblico; e per una volta abbiamo sentito la parola che più manca nel mondo teatrale: dialogo, in questo caso tra artisti e pubblico.
Il pubblico ha risposto con partecipazione a questa richiesta di confronto durante il dibattito (preceduto dalla distribuzione di un questionario che presentava anche delle domande a risposta aperta) nessuno ha lasciato la sala, ma tutti hanno compilato il questionario e hanno seguito la discussione. Che, peraltro, non è stata affatto banale ma anzi accesa e costruttiva.
Dobbiamo dire che questa sera il pubblico di provincia ha dato una lezione a quello milanese: partecipe e pronto a farsi provocare e a interrogarsi, mentre il pubblico milanese si sta annoiando in un atteggiamento di sufficienza, di estraneità, di chiusura. Difficilmente si riesce a sorprendere lo spettatore metropolitano, sempre più simile a un medico che esegue un'autopsia: si abitua a tutto, considera la materia che ha di fronte come oggetto di analisi clinica.
A fine spettacolo ci siamo trattenuti un'ora a parlarne tra amici e addetti ai lavori: anche questa una rarità e comunque sempre segno che c'è sostanza su cui lavorare!
visto al Teatro Binario 7 di Monza il 19.II.2011
Compagnia LupusAgnus
CANICANI
di Aquilino
regia Stefano De Luca
con Marta Comerio, Tommaso Banfi, Annamaria Rossano
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