mercoledì 29 dicembre 2010

IL WEEKEND CON GIGOLO DI ALAN AYCKBOURN

LE CONQUISTE DI NORMAN - IN SALA DA PRANZO
di Alan Ayckbourn
con Giovanni Prosperi, Daria D'Aloia, Elisabetta Becattini, Fabrizio Careddu, Eleonora d'Urso, Marco Zanutto
regia di Eleonora d'Urso

Finalmente si ride: con intelligenza, con arguzia, con quello stile asciutto e incisivo tipicamente inglese, e con molta modernità (nonostante il testo sia stato scritto nel 1973).
Alan Ayckbourn trova la formula giusta per ottenere un risultato di brillante comicità: metti in un casa campagna una ragazza semplice intenta a curare la madre inferma (Annie), un veterinario impacciato e un po' lento a capire gli affari di cuore (Tom), una donna decisamente nervosa tendente all'isteria (Sarah), un uomo un po' grezzo nei modi (Reg), una donna in carriera (Ruth) e uno "gigolo imprigionato nel corpo di uno spaventapasseri" (Norman)... mischia gli ingredienti e il risultato è una serie di situazioni in cui si ride. Ma dietro al riso si apre incerto il sorriso dell'ironia, che ha un gusto un po' più amaro quanto più da vicino ci coinvolge.
L'intellegenza dell'autore sta nello smascherare situazioni quotidiane: se è vero che il teatro è lo specchio della realtà, questo spettacolo prende in giro quello stesso pubblico che assiste alla commedia. Chi non ha mai avuto a che fare con un uomo irrimediabilmente incapace di esprimere i propri sentimenti e di prendere una decisione? E quante volte abbiamo partecipato all'assegnazione dei posti a tavola, come nell'esilarante scena della cena?
Se il primo atto è più leggero, nel secondo vengono affrontati temi più complessi e tutti attuali: l'identità della donna da sempre in bilico tra l'essere donna-in-carriera e donna-madre, la rivendicazione del proprio ruolo all'interno della famiglia (piccolo nucleo sociale), il senso della famiglia che viene messo in discussione (nessun personaggio sembra avere rispetto del reciproco legame familiare). Infine il tradimento: come nasce, perché nasce, cosa scatena in chi tradisce e in chi è tradito. 

La The Kitchen Company, compagnia che ha fatto della drammaturgia inglese contemporanea la base del proprio repertorio, mette in scena Le conquiste di Norman con merito, ma con qualche incertezza nel debutto. Sicuramente il rodaggio delle repliche gioverà al ritmo e alla definizione di qualche dettaglio tecnico (luci). 
Interessanti tutti gli attori in scena, ma i personaggi sono costruiti in maniera troppo caricata. Data la comicità insita nel testo, la loro interpretazione troppo caricaturale risulta ridondante.: forse cercando una maggiore verità dei personaggi anche il testo sarebbe emerso in maniera più efficace.
Tra gli interpreti si distingue Giovanni Prosperi (già apprezzato in Nemico di classe): il suo Tom è indubbiamente il personaggio più credibile e insieme il più comico. Il suo ingresso, preparato dalla descrizione di Sarah ed Annie, strappa una risata grazie semplicemente alla postura goffa e all'espressione allampanata. 

visto al Tieffe Teatro Menotti il 28.XII.2010

Ascolta l'intervista a Eleonora d'Urso, ospite di Babel a Radio Popolare:
http://mir.it/servizi/radiopopolare/blogs/babel/2010/12/29-dicembre-babel-e-una-trilogia-di-ayckbourn/

Per informazioni su calendario e orari delle recite:
Tel. Tieffe Teatro: 02/36.59.25.44 - 02/36.59.25.38


Per informazioni sulla Compagnia: 
http://www.thekitchencompany.it/index.php

domenica 26 dicembre 2010

THE KITCHEN COMPANY TORNA ALLA COMMEDIA


Dopo due testi di impegno sociale, Mea culpa e Nemico di classe, la The Kitchen Company torna al repertorio comico con Le conquiste di Norman di Alan Ayckbourn, che debutterà il 28 dicembre al Tieffe Teatro Menotti e resterà in scena fino al 16 gennaio.

La commedia si compone di tre parti creando una trilogia ambientata nei tre diversi ambienti domestici in cui svolge la vicenda: In sala da pranzo, In salotto e In giardino.
Al centro della storia tre coppie: Annie e il veterinario locale Tom; il fratello di Annie, Reg, e la moglie Sarah; la sorella di Annie e Reg, Ruth, e Norman. Tutti si ritrovano nella casa di campagna della madre malata di Annie, dove Norman cercherà di conquistare la cognata e Sarah, e di rispondere alle minacce di separazione di sua moglie Ruth. A queste dinamiche si aggiunge il tentativo da parte di Sarah di velocizzare un possibile matrimonio tra Annie e Tom, e l’ottusità di Reg che non si rende conto degli effetti che le avances di Norman hanno sulla moglie Sarah.
Questi ingredienti danno luogo a tre commedie brillanti basate su equivoci, ripicche, dispetti, messe in scena con ritmo incalzante e con scene di comicità brillante.
Le commedie possono essere viste separatamente in quanto indipendenti l’una dall’altra: nonostante rappresentino gli stessi personaggi sviluppano un’atmosfera e caratteristiche strutturali differenti.

Alan Ayckbourn (1938), autore inglese che ha costruito i suoi successi sulla commedia borghese (ricordiamo anche Camere da letto), ha scritto Le conquiste di Norman nel 1973. La prima rappresentazione della pièce risale allo stesso anno; dopo tre anni di rappresentazioni questo testo venne abbandonato per essere riscoperto nel 2006, quando Kevin Spacey lo volle riportare in scena all’Old Vic, teatro di cui era direttore artistico.

La The Kitchen Company ha presentato questo spettacolo la scorsa estate in occasione del Festival dei Due Mondi di Spoleto, che già fece da vetrina nel 2009 allo spettacolo Un piccolo gioco senza conseguenze.
La regia è affidata a Eleonora D’Urso, qui anche interprete del personaggio di Sarah. Con lei in scena cinque attori under 30 di grande talento: Giovanni Prosperi (Tom), Fabrizio Careddu (Norman), Marco Zanutto (Reg), Daria D’Aloia (Annie) ed Elisabetta Becattini (Ruth).

SAN SILVESTRO CON LA KITCHEN COMPANY
A Capodanno verrà proposta tutta la trilogia a un prezzo speciale, e alla mezzanotte ci sarà un brindisi con la compagnia per festeggiare il nuovo anno.
Per informazioni su costi e orari: http://www.tieffeteatro.it/_f.10/00_base/base.php

Per informazioni su calendario e orari delle recite: 
Tel. Tieffe Teatro: 02/36.59.25.44 - 02/36.59.25.38

Per informazioni sulla Compagnia: 
http://www.thekitchencompany.it/index.php

lunedì 13 dicembre 2010

Il mio personale MEA CULPA

Uno dei sette peccati capitali è la superbia. La prima cosa che non farebbe mai il superbo è ammettere i propri sbagli, quindi ammetto il mio errore di valutazione per allontanare il sospetto che io sia presuntuosa.
Mi sono sbagliata nel giudicare la The Kitchen Company.
1) Innanzitutto le ragazze: non è vero che non hanno una valida preparazione alle spalle. Delle attrici di Mea culpa, tranne un'eccezione (peraltro voluta), alcune sono uscite dalla scuola del Piccolo di Milano, altre dalla scuola diretta da Gastone Moschin (realtà che non conoscevo e che ho sottovalutato).
2) Non è vero che non c'è un lavoro di regia: il fatto che non l'abbia riconosciuto è un'opinione personale, mentre invece non ero a conoscenza del lavoro che è stato fatto con gli attori di Nemico di classe
3) Ecco qual è il punto: "non lo sapevo". Il vizio più grave che ho dimostato sta, più che nelle parole, nell'atteggiamento: non si possono fare affermazioni senza averne prima verificato la rispondenza alla realtà (al di là dei giudizi di gusto, che sono personali). Quello di attenersi alla verità accertata (e su questa basarsi per esprimere la propria opinione) è un atteggiamento etico che deve essere messo in campo fin da subito e indipendentemente dal numero di persone che entrano in contatto con il nostro giudizio.
Ho avuto la fortuna e il piacere di mettere a verifica le mie affermazioni con la persona che meglio poteva chiarire e smentire: proprio Massimo Chiesa, bersaglio delle mie critiche.
Dialogo e confronto: due concetti che troppo spesso ultimamente sembrano essere stati oscurati dal mondo teatrale. La società teatrale di domani (in cui noi giovani saremo chiamati a essere protagonisti) si costruisce nell'oggi attraverso uno scambio costante tra professionalità, generi, realtà, generazioni. Massimo Chiesa ha dimostrato di mettere in pratica questo principio dimostrandosi una persona estremamente aperta e generosa. 
...Una bella lezione!

domenica 12 dicembre 2010

I segreti di Arlecchino ci fanno sognare

I SEGRETI DI ARLECCHINO
di e con Enrico Bonavera

Questo spettacolo è un regalo, e come tale non dovrebbe essere sprecato perché troppo prezioso per non coglierne il valore artistico, tenico ed educativo.
Enrico Bonavera, reduce da anni di tournée con lo storico Arlecchino che fu di Strehler e che ora è di Soleri, è uno dei maggiori esperti italiani ed europei di Commedia dell'Arte, e proprio per farci (ri)scoprire il teatro delle Maschere ha costruito questo percorso agilissimo nella tradizione del nostro teatro.  
Alternando la cornice storica di contestualizzazione e l'interpretazione delle Maschere più famose, Bonavera ci porta a Venezia e a Genova, e dipinge queste città con tanta vividezza che ci sembra di essere sul Ponte di Rialto o in Via Balbi. 
Si rimane affascinati, stupefatti, stregati per la rapidità, l'abilità tecnica, la precisione con cui Bonavera dà vita alle Maschere: Zanni, Pantalone, il Dottore, il Capitano. E per finire la Maschera più popolare: Arlecchino.
Bonavera è scuola vivente di tecnica fisica e vocale, ma anche di storia della Commedia. Ci racconta aneddoti sulla nascita delle Maschere che sui manuali non si trovano: per esempio, Pantalone in origine era il Mercante ebreo, come dimostrano il berretto rosso e le calzature orientali. E proprio le scarpe, più ancora delle maschere, sono il segno distintivo che caratterizza i personaggi. Il brindisi finale alle personalità che hanno fatto la storia della Commedia è un bel modo per farci conoscere nomi che altrimenti rimarebbero oscurati dai secoli che sono passati.
Già, sono passati secoli dalla nascita della Commedia, quasi cinquecento anni. Eppure guardando la magia dell'attore che crea un universo di gesti, voci, posture, grazie a una maschera, qualche elemento costumistico, ma soprattutto grazie a se stesso e al proprio corpo; guardando questo spettacolo non possiamo non ritrovare le nostre origini che ci portiamo dentro come un marchio, una grandezza che ci ha reso gli inventori del teatro moderno, con quella figura dell'attore-artigiano-artista-giullare che si inventa un mondo e vi ci porta tutti quelli che lo guardano e che stanno al suo gioco. Il gioco del teatro. Forse la Commedia nasce come un gioco, per evitare censure e condanne. Forse il teatro rimane sempre un luogo dove si giuoca a fare sul serio. Forse proprio nella Commedia riconosciamo la nostra unità culturale, la nostra atavica appartenenza a una medesima tradizione. Io credo che sia importante mantenere questa tradizione e ritrovare in essa la dignità e l'orgoglio del nostro teatro, soprattutto oggi che questo nostro teatro viene fortemente messo in discussione. Non disperiamoci: se il teatro è sopravvissuto agli anni medievali della censura e della condanna ecclesiastica, per poi rinascere dando vita proprio alla Commedia direi che possiamo avere la speranza che torneranno a fiorire gli anni del grande teatro. Ma soprattutto: possiamo essere sicuri che il teatro non morirà mai. Anche senza sovvenzioni statali.
Ultima considerazione: forse se questo spettacolo fosse stato rappresentato alla Scatola Magica del Piccolo Teatro gli sarebbe stato riconosciuto il valore che ha. La sala fa il monaco, purtroppo. Per questo motivo vanno sostenute le sale che hanno una programmazione attenta alla drammaturgia contemporanea e che propone lavori di qualità (anche se meno blasonati): lo Spazio Tertulliano è una nuova, piacevole realtà.

visto allo Spazio Tertulliano il 11.XII.2010

giovedì 9 dicembre 2010

THE KITCHEN COMPANY - due mesi dopo...

A distanza di quasi due mesi dal mio primo approccio alla The Kitchen Company ho rivisto "Nemico di classe" e ho visto "Mea culpa". Cosa è cambiato nel mio giudizio dopo due mesi?
Rispetto a quanto scritto subito dopo aver visto lo spettacolo e alla luce delle prime informazioni raccolte sulla Compagnia il giudizio generalmente positivo non è cambiato, ma sicuramente è stato approfondito e si è affinato. Non sono tutti bravi, i due spettacoli non sono geniali, l'operazione di Massimo Chiesa con questi 32 ragazzi è molto meno poetica di quanto non mi sia sembrata inizialmente. 
Sicuramente sul giudizio rivisto e corretto influiscono anche le informazioni un po' meno ufficiali (ma quasi sempre molto più utili, quando non viziate da malevolo pettegolezzo - e non è questo il caso) che ho raccolto. Non credo, però, che in un giudizio consapevole e maturo debbano entrare questi fattori: e qui mi faccio una bella autocritica!
Dovremmo attenerci al giudizio dell'aspetto artistico (e organizzativo, se c'è materiale su cui discutere...) perché la dimensione privata non ci compete. Ci riguarda decisamente di più se le faccende private si riflettono davanti allo spettatore che abbia occhio allenato e acuto. 
La mancanza di professionalità di molti componenti artistici e (cosiddetti) organizzativi della Compagnia è evidente nei ritardi costanti e consistenti nell'inizio degli spettacoli, nelle (non) presenze al botteghino di un responsabile di compagnia, nella dubbia preparazione professionale di molti attori (attrici). 
Apriamo il capitolo artistico: in entrambi gli spettacoli manca completamente la regia. E non è cosa che si riesca a nascondere. 
"Mea culpa" ha un testo molto interessante e forte sul moralismo cattolico che mostra contraddizioni e ipocrisie. Peccato aver sprecato la drammaturgia per l'assenza di un regista vero. Personaggi impostati tutti sulla stessa linea interpretativa, con attrici che non hanno gli strumenti per mettere una toppa a questo buco direttivo.
La differenza tra i due spettacoli è questa: a parità di assenza registica sono gli attori a fare la differenza. E a parità (quasi) anagrafica è la preparazione professionale a fare la differenza. Ecco il punto: i ragazzi sono diplomati alla Silvio D'Amico e il loro spettacolo funziona. Le ragazze sono...no, non sono diplomate a nessuna accademia, il loro curriculum lo dice. Il loro spettacolo è noioso e ripetitivo, monocorde e superficiale (parlo sempre di interpretazione).
Torniamo a "Nemico di classe". Prima visione: tutti bravi. Seconda (e terza) visione: bravi Prosperi-Kermit e Avagliano-Bago, con delle potenzialità Nicchi-Iron. Gli altri non incisivi. Bajo-Spillo un passo indietro agli altri.
Nella loro interpretazione appare chiarissimo che non sono stati diretti da un regista. Come hanno costruito il proprio personaggio è frutto di alcune sommarie indicazioni e poi niente più, lasciati alla propria fantasia e al proprio talento.
Allora si capisce la rigidità di Nicchi nella voce e nel corpo: probabilmente non ha trovato (perché il regista non ce l'ha condotto) un modo personale che sentisse come vero per interpretare il capo branco. 
Tanto più, quindi, risaltano Prosperi e Avagliano: i rispettivi personaggi non sono stati scritti per emergere sugli altri; se in questo spettacolo risultano più incisivi è perché i due attori hanno trovato dentro se stessi qualcosa in più da dare al personaggio. Nell'autogestione emergono i migliori.

"Odio talmente gli uomini che mi farebbe orrore essere come loro"

Promossi al primo incontro: Massimo Castri e Massimo Popolizio superano bene il primo approccio a Molière (curioso pensare che entrambi nella loro feconda carriera non avevano ancora affrontato il Classico francese).
Lo spazio che Castri sceglie per ambientare la commedia (tragedia?) è di elegante rigore geometrico, scandito dalla ripetizione di specchi simbolici appesi a freddissime pareti grigie. E' il teatro su cui agisce un personaggio a cui Popolizio dà il calore umano della passione, dell'invettiva, della disperazione. La sua interpretazione è uno degli elementi più forti di questo spettacolo. Quando l'attore dà sangue a un personaggio il risultato è di grande forza e non c'è scampo per lo spettatore: deve stare incollato di fronte alla scena, costretto a riflettere, a interrogarsi, ad analizzare. 
Bisogna dire che risalta luminosissimo il potere eterno di questo testo sempre così attuale, sempre così ricco di spunti su cui avviare una profonda inchiesta della  società (della nostra come di quella di ieri, così come di quella di domani). Il misantropo non è banalmente colui che odia gli uomini. Alceste è un personaggio molto più complesso: il suo atteggiamento nei confronti del mondo e degli uomini è quello di una estrema franchezza, una sincerità che lo porta a dire sempre la verità - anche quando questa risulta spiacevole. La diplomazia rappresenta il compromesso che non vuole accettare, il prezzo che non vuole pagare per sentirsi integrato in una società governata dall'opportunismo che lui invece rifiuta. Non difende il diritto di dire quello che pensa senza freni; invoca l'altezza morale dell'onestà nei rapporti con gli altri.
La sua razionalità nel seguire in maniera integerrima i propri principi viene sopraffatta dal sentimento che prova per Celimène, l'incarnazione di tutto ciò che lui odia della società: frivola, mondana, ambigua, Celimène gioca con tutti e non prende impegno con nessuno, in questo futile gioco della seduzione in cui lei esercita il potere derivante dal suo fascino. 
Nel destino del misantropo è scritta la solitudine, scelta come unica alternativa per continuare a essere un galantuomo ed evitare di scendere a compromessi con le finzioni della società, con i "falsi pudori" e le "tristi miserie" degli uomini.
La regia di Castri esalta la Parola, vera protagonista di questo testo. Ci ha sorpresi incontrare un Castri ordinato, misurato, attento al significato profondo del testo e non alle sue declinazioni esteriori. Non rinuncia per questo a dare la sua interpretazione attraverso la scenografia quasi chirurgica, sottolineando più che l'odio verso gli uomini la difesa estrema della franchezza e della trasparenza nei rapporti di amicizia e d'amore. Di significato anche la modifica al testo del finale: se in Molière l'ultima parola era dell'amico Filinte, Castri fa calare il sipario sull'ultima parola pronunciata da Alceste, "galantuomo".
Lo spettacolo fa emergere tutti gli spunti di riflessione presenti nel testo, indagandoli in maniera forse un po' troppo didattica. Il pericolo di cadere nel didascalismo è comunque evitato grazie, ripetiamo, all'interpretazione viscerale di Popolizio. Il resto della compagnia è discreto ma nemmeno lontanamente avvicinabile al livello del protagonista. Si distingue Graziano Piazza nel ruolo di Filinte, l'unico amico sincero di Alceste. Mostra, invece, i propri limiti l'interpretazione di Federica Castellini nel ruolo di Celimène. Paga sicuramente l'affiancamento a un mostro come Popolizio, paga (forse) la giovane età (Celimène è tutt'altro che personaggio semplice, ricco com'è di colori, sfumature, evoluzioni). Più di tutto, però, forse manca quella materia umana personale a cui attingere per interpretare in maniera non banale personaggi di tale ricchezza. Del resto, però, è un quesito che non ha ancora trovato soluzione: per interpretare un grande personaggio bisogna essere una grande persona? Io credo che questo sia necessario per dare a questi personaggi il valore che possiedono per come sono stati concepiti dell'autore. Potreste dirmi cosa ne pensate voi in proposito...

visto al Piccolo Teatro Strehler il 8.XII.2010

IL MISANTROPO
di Molière
regia di Massimo Castri
con Massimo Popolizio, Graziano Piazza, Sergio Leone, Federica Castellini, Ilaria Genatiempo, Laura Pasetti, Tommaso Cardarelli, Andrea Gambuzza, Davide Lorenzo Palla, Miro Landoni