giovedì 17 marzo 2011

NATHAN IL SAGGIO, RIFICI IL CORAGGIOSO

Foto di Attilio Marasco
Ceci n'est pas une critique
Per un semplicissimo motivo: come ha scritto Claudia Cannella nella Carta dei diritti e dei doveri del critico, il critico ha "il dovere di non recensire spettacoli in cui si è coinvolti a vario titolo (se ci sono in scena amici, parenti, amanti; se si è tradotto il testo; se il proprio lavoro si è spostato in settori contigui come direzione/lavoro in festival, ufficio stampa, organizzazione, distribuzione...)". Non dirò il motivo del mio coinvolgimento nel caso di Nathan (non è tra quelli citati), ma mi appello a uno dei diritti del critico, cioè quello di "essere soggettivi e di difendere i propri gusti".

Uno spettacolo teatrale è come un bambino: i genitori, che lo vedono crescere ogni giorno, seguono il percorso evolutivo del bimbo. Gli amici lo vedono quando sta muovendo i primi passi, e dopo appena qualche giorno lo ritrovano molto cambiato, cresciuto. A loro sembrerà più evidente il cambiamento, perché non ne hanno seguito tutte le fasi.
E' quello che mi è successo con Nathan: gli ho visto muovere i primi passi (le prime prove filate), e stasera l'ho ritrovato cresciuto e maturo. E ho imparato che gli amici, anche se pieni di affetto, non possono giudicare quel bambino che ancora non si regge saldo sulle gambe. Forse tra i numerosi vantaggi che passano sotto il nome di esperienza è compresa anche la capacità di capire fin dall'inizio la qualità dello spettacolo. Oppure, forse, l'intuizione degli artisti è qualcosa che sorprende sempre.
Stasera di fronte allo spettacolo adulto siamo rimasti affascinati, e abbiamo faticato a riconoscere i tratti del bambino verso cui abbiamo nutrito più di una perplessità. Tutto ha trovato il proprio posto, in un insieme elegante, preciso, rigoroso, dinamico.
La scena, molto ronconiana nella geometria, è stata sfruttata in tutte le possibilità di movimento che ha reso possibili, creando cambi scena rapidi e sorprendenti. Le luci hanno illuminato di significato scene, costumi, atmosfere. L'impostazione degli attori è coerente e sempre giustificata, i personaggi sono caratterizzati con precisione e chiarezza. Il livello è molto alto, nei singoli e nel complesso.
Lo scoglio delle tre ore si rivela una comodissima battigia: passano velocemente, in maniera gradevole. Rifici fa emergere l'ironia disseminata nel testo da Lessing. Ecco, forse nel primo atto ci sono alcuni momenti in cui il ritmo viene rallentato per effetto di alcune ripetizioni nell'originale. Sicuramente non mi hanno convinto le musiche: didascaliche, in alcuni momenti retoriche e in altri addirittura fastidiose nel coprire la voce dei personaggi. 

Un classico spettacolo da teatro Stabile, si potrà obiettare. Ma, a volte, che male c'è? In queste circostanze cito quello che è stato il mio maestro: "non esiste un teatro vecchio e uno nuovo: esiste solo un teatro bello e un teatro brutto".
Rifici riesce a portarmi dalla sua parte anche quando dichiara l'inattualità del testo, e cioè il non dover esplicitare il riferimento alla realtà attuale perché, in quanto classico, è universale. 
Nathan ha molto da dirci, e lo fa portandoci in quel mondo epico e fiabesco della Gerusalemme ai tempi delle Crociate, tra templari, dervisci, patriarchi e sultani. Il messaggio è chiarissimo, e sarebbe bello che il teatro tornasse ad avere quel valore civile che aveva ai tempi degli antichi Greci. Intanto che ci crogioliamo nell'utopia ascoltiamo il messaggio letto a fine spettacolo sulla situazione terribile in cui è relegata la cultura nel nostro paese (in)civile.


Guarda l'intervista a Carmelo Rifici: Piccolo Teatro web tv

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